Studio Azzurro fa un film sul teatro di Pompeo. L’intervista

Ha da poco aperto lo spazio multidisciplinare del collezionista Ovidio Jacorossi. Siamo a Roma, in un luogo dal grande fascino. Dove c’è anche un teatro d’epoca romana. E qui Studio Azzurro ha ambientato la sua ultima opera.

Il nuovo spazio per l’Arte Contemporanea Musia, ideato dal collezionista e imprenditore Ovidio Jacorossi, ha recentemente aperto al pubblico. Circa 1.000 mq nel centro di Roma, ristrutturati dall’architetto Carlo Iacoponi, si sviluppano sopra la stratificazione di elementi architettonici da epoche diverse, dall’età romana al Rinascimento.
Alla grande mostra celebrativa, Dal simbolismo all’astrazione. Il primo Novecento a Roma nella Collezione Jacorossi, curata da Enrico Crispolti con la collaborazione di Giulia Tulino, si affianca un’opera site specific di Studio Azzurro. Abbiamo intervistato Fabio Cirifino, cofondatore del collettivo.

Come nasce il vostro progetto per Musia?
Un giorno riceviamo una telefonata dal dottor Jacorossi, che si dice interessato al nostro lavoro: voleva sviluppare un progetto che aveva in mente. Uno spazio culturale destinato a promuovere l’arte contemporanea anche attraverso performance, laboratori, contaminazioni culturali e una sezione enogastronomica.

Perché proprio questo spazio?     
La sede di via dei Chiavari è una sede storica oltre che un luogo simbolo della famiglia Jacorossi. Ha un’articolazione tale che la suddivide su tre livelli e due ingressi. Una galleria d’arte, l’affaccio su un cortile cinquecentesco (attribuito a Baldassarre Peruzzi), la cucina, una terrazza interna e la Galleria 9 dedicata alla vendita delle opere d’arte, fotografia e design.

Ci sono elementi che hanno attirato in particolare la vostra attenzione?
L’area sotterranea di questo stabile conserva una parte del Teatro Romano di Pompeo. Una grande sala con mattoni a vista, che immediatamente rievoca un’atmosfera densa di romanità e mistero. Per questo spazio in particolare abbiamo pensato di creare un’opera site specific. L’area è stata sottoposta a una rigorosa e attenta opera di conservazione, e devo ammettere che è stato fatto un ottimo lavoro. Ci hanno chiesto se eravamo interessati a fare un’opera ad hoc per questo spazio preciso e noi abbiamo accettato. Da quando ne abbiamo parlato ad oggi è passato un anno.


Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nella progettazione e nella realizzazione di questo intervento?
Per noi è stata la prima volta che abbiamo proposto un’opera video che potremmo definire in un certo senso differita. In questo caso specifico lo spazio è stato animato da otto proiezioni in quattro ambienti differenti. Il racconto per così dire cinematografico ha comportato uno sforzo che tendesse a dare una nuova svolta alla nostra ricerca artistica. Tentativo che rientrava perfettamente nel nostro modus operandi, che considera la ricerca un caposaldo della nostra esperienza lavorativa. Alla fine siamo stati tutti soddisfatti, sia del lavoro di ricerca svolto con i video stessi che del rapporto di lavoro che si è instaurato con la Fondazione. È nato tutto per caso, mettiamola così, per la curiosità da parte di Jacorossi verso il nostro lavoro.

Quali orizzonti si sono aperti nello scenario contemporaneo della videoarte in Italia? Cosa pensa della situazione attuale?
Il lavoro eseguito per questa occasione, che abbiamo intitolato Il teatro di Pompeo, rimarrà esposto e visitabile per circa un anno. In questo periodo mi auguro si possa instaurare una collaborazione con i giovani – in Italia e all’Estero – che si occupano di ricerca soprattutto in ambito di sperimentazione video. Spero che in futuro si possa dare la possibilità anche ad altri videoartisti di presentare i loro interventi. Noi di Studio Azzurro siamo disponibilissimi ad aiutarli per mettere a punto una programmazione che esalti il video e la ricerca video/artistica attraverso le nuove tecnologie.
Credo che in Italia questa forma di arte sia ancora poco conosciuta, soprattutto perché non ci sono molti critici, parlo di critici d’arte e non di storici, che se ne occupano. Anche i curatori dei musei a volte sono reticenti su questa materia che sfugge all’occhio. Credo occorra entrare nelle dinamiche e nel pensiero degli artisti video in maniera un po’ più profonda ed efficace. Sono convinto che si apriranno nuove prospettive.

Quali sono le principali differenze narrative di questa forma artistica rispetto al cinema?
La realizzazione di questo intervento ha comportato per così dire un lavoro cinematografico. Ci siamo mossi come per fare un film. Partiamo dal fatto che non è una proiezione unica, del tipo tu seduto davanti a uno schermo in una sala buia. Ma uno spazio da praticare, un percorso da sviluppare. Ad esempio, alcune scene che vedi in una sala devono avere continuità con le altre, per farci capire che sono si scene diverse ma comunque collegate a quello che hai visto prima. E poi c’è il lavoro importante di post produzione e montaggio. Non un montaggio per così dire lineare, come potrebbe capitare in un film, ma un montaggio dinamico che tenga conto di tempi diversi e divisioni, perché appunto ci si sposta da una sala all’altra in più momenti.

Studio Azzurro, Teatro di Pompeo, 2017. Musia, Roma. Photo credit OKNOstudio

Studio Azzurro, Teatro di Pompeo, 2017. Musia, Roma. Photo credit OKNOstudio

Veniamo accolti dal suono della lira, che quasi ci culla nella nostra visita privata al teatro di Pompeo, quasi fossimo ospiti in casa di Cesare. I gesti quotidiani, la calma apparente, il senso di familiarità vengono presto rotti dal dramma. Cosa sta succedendo? Siamo all’interno di un giallo?
Alla fine la cosa drammatica è la situazione di quotidianità, che poteva essere la vita romana del tempo. A un tratto tutto si drammatizza, perché avviene un delitto: la morte di Cesare. E noi partecipiamo simbolicamente a questo evento, immergendoci.

C’è un punto particolare del teatro che per certi versi sembra discostarsi dal resto. In mezzo a tante proiezioni orizzontali ce n’è una verticale su un tavolo…
La proiezione sul tavolo è in forte relazione con quello che ha difronte, e solo con quello. Tutto quello che vediamo davanti ai nostri occhi si ripete parallelamente sul tavolo. Il tavolo è il punto di vista realistico dello spettatore. Forse quello più naturale e a portata di mano. Le altre proiezioni sono rappresentazioni teatrali, non a caso c’è un sipario che si apre e si chiude continuamente. Siamo davanti alla rappresentazione teatrale di un film e al film di una rappresentazione teatrale. L’unico punto di vista della dimensione reale è il tavolo. Nel finale non a caso rivela un dettaglio forte: il catino riceve delle gocce di sangue, proprio quelle dell’omicidio di Cesare.

– Michele Luca Nero

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Michele Luca Nero

Michele Luca Nero

Michele Luca Nero (Agnone, 1979), figlio d’arte, inizia a dipingere all’età di sei anni. Una passione ereditata dal padre, Francesco, insieme a quella teatrale acquisita dal nonno, Valentino, poeta e drammaturgo riconosciuto a livello internazionale. In pochi anni ha curato…

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