A Bari la mostra di Miroslav Tichý, l’artista clochard che piaceva ad Harald Szeemann

Inaugura il 16 dicembre la mostra dedicata a Miroslav Tichý, presso la Galleria Doppelgaenger di Bari. Artista clochard, non prese mai soldi per le sue opere e non frequentò mai una mostra. Costruiva da solo le sue macchine fotografiche e si autoemarginò per colpa del regime comunista.

“Tichy è stato un dissidente, una figura da rimuovere, all’interno di un regime totalitario. Rinchiuso in prigione, internato in manicomio, etichettato come matto, relegato ai margini della società, si qualificava ironicamente come un Tarzan in pensione. Davvero interessante è che la piena emarginazione non abbia inibito in alcun modo la sua esigenza di esprimersi: al contrario, ne ha rappresentato un tratto fondante. Ed è significativo che fin dalla sua scoperta, Tichý non abbia mai frequentato una sua mostra né mai accettato il denaro raccolto dalla vendita delle foto”. A parlare sono Michele Spinelli, Antonella Spano e Lino Sinibaldi della Galleria Doppelgaenger di Bari, che da sabato 16 dicembreinaugurano una mostra inconsueta dedicata a Miroslav Tichý (Kyjov, 1926 – 2011). Personalità atipica del mondo dell’arte, Tichý fu un vero e proprio “vagabondo del Dharma”, come l’avrebbe definito Jack Kerouac. Visse come un clochard e, intanto, si occupava di fotografia, costruendo da solo le proprie macchine fotografiche con materiali poveri e di riuso. Originario della Repubblica Ceca dove visse per tutta la sua vita, l’artista è raccontato in mostra sia attraverso 23 lavori, che da una video-intervista realizzata dall’artista-psichiatra svizzero Roman Buxbaum, per anni praticamente l’unico ad accedere all’opera dell’artista.

LA TERRA VISTA DALLA LUNA

Le immagini di Tichý, raccontano la precarietà e la marginalità del presente, anche se realizzate in un periodo di florido benessere. È come se l’artista avesse tra le mani una macchina del tempo. Le sue donne sono chiaramente lontane, oggetti irraggiungibili, la distanza è siderale, come da un altro pianeta: il fotografo è proiettato in avanti, le donne si smaterializzano in un passato già avvenuto. Tichý è un Eugène Atget senza carretto e senza presente, non è il cantore del suo mondo: queste foto realizzate in maniera furtiva tra il 1960 e il 1985 non lasciano alcun dubbio. Appassionato di pittura e diplomato all’Accademia di Belle Arti di Praga, Miroslav viene identificato dal regime comunista come un dissidente, arrestato nei primi anni ’60 e chiuso in cliniche psichiatriche. Il ritorno in società non è indolore e ha il sapore dell’autoemarginazione e dell’esclusione. È Roman Buxbaum a scoprire il suo lavoro e ad introdurlo, alla fine degli anni ’80 ad Harald Szeemann che propose alla Biennale di Arte Contemporanea di Siviglia nel 2004 una sua mostra. Da allora, ci fu una riscoperta del suo lavoro e una serie di mostre alla Kunsthaus Zürich (2005), al Centre Pompidou di Parigi (2008) e all’International Center of Photography di New York 2010. “Quentin Bajac, curatore dell’esposizione di Tichý al Centre Pompidou”, raccontano i galleristi, “individuava nel lavoro dell’artista una sorta di compendio dell’arte fotografica, dagli albori fino all’avvento del digitale. Centocinquant’anni di fotografia, riproposti da un angolo visuale assolutamente unico e irriducibile: è dunque un’ipotesi poco concerta che un caposaldo come Tichý possa essere rimosso dalla memoria, o accantonato, dalla storia dell’arte. Inoltre, il suo lavoro è supportato e tutelato costantemente dalla fondazione Tichý Ocean di Praga”.

L’ARTE DISSIDENTE A BARI

Oggi il lavoro di Tichý arriva per la prima volta a Bari e per di più in una galleria privata. “Le nostre scelte”, spiegano Spano, Spinelli e Sinibaldi, “sono sempre state caute, nella scelta degli artisti e in particolare riguardo la fotografia, e la nostra titubanza deriva dalla confusione, forse inevitabile, su cosa possa essere propriamente inteso come arte, nell’ambito di questo medium. Questione che, nel caso di Tichý, credo naturalmente venga meno. La radicale coincidenza fra vita e arte, nell’esperienza di questo autore, credo sia evidente e sia, inoltre, in perfetta sintonia con l’identità della galleria. Doppelgaenger: nomen omen”.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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