Conservare, archiviare, digitalizzare. Cosa resta del contemporaneo? (I)

Cosa significa lavorare sulla conservazione dell'arte contemporanea? Che tipo di scenario stiamo lasciando ai posteri in tema di archiviazione e documentazione? Se per le generazioni precedenti è stato semplice costruire e ricostruire lo stato delle opere attraverso lettere, documenti, immagini, oggi che tutto tende all'immateriale che scenario stiamo preparando? Lo abbiamo chiesto a dieci addetti ai lavori.

SANDRA VÁZQUEZ PÉREZ
Centro conservazione e restauro – La Venaria Reale

Spesso si pensa che le opere d’arte contemporanea non richiedano particolari interventi, ma non è così. La conservazione di questi pezzi racchiude una serie di problemi: riferimenti al concetto dell’opera, mancanza di conoscenza dei materiali e tecniche adoperate, individuazione delle cause che provocano la comparsa delle alterazioni, difficoltà di selezionare dei criteri e comportamento che un autore ancora vivente può avere rispetto al degrado e all’intervento sull’opera.
Intervenire sull’arte attuale presuppone la capacità di penetrare nell’universo intellettuale dell’artista e nel rispetto dell’idea originaria, che talvolta risiede nella teorizzazione del valore effimero del lavoro. Le interviste agli artisti si sono rivelate assai importanti per documentare questi aspetti. Il ricordo di alcune opere d’arte effimere è affidato solo a riprese filmiche o fotografiche. Il lavoro di un restauratore è anche conservare la fisicità della documentazione e l’idea che accompagna le opere d’arte, le quali possono essere più importanti dell’oggetto stesso.

IOLANDA RATTI
Conservatrice – Milano

A vent’anni dallo storico convegno Modern Art: Who Cares?, credo che si possano dare per recepiti alcuni assunti fondamentali riguardo la conservazione del contemporaneo: il rispetto dell’intenzione dell’artista, la necessità della ricerca scientifica e della documentazione. C’è tuttavia almeno un ambito in Italia in cui si fatica a individuare anche solo delle basilari procedure condivise: è il caso dei time based media, che comprendono immagini in movimento, suono, performance e slide. La musealizzazione non mirata di queste opere e un pregiudizio che vede inversamente proporzionali valore e riproducibilità hanno come conseguenza la percezione tutta teorica e non impellente della necessità di conservare media che per loro natura sono immensamente più fragili di quelli tradizionali.
Ovviamente abbiamo esempi virtuosi nel nostro Paese: penso alle cineteche, al lavoro meticoloso di piccoli archivi indipendenti o ad alcuni centri di ricerca universitari. Tuttavia, credo che la strada da intraprendere rispetto al futuro dei “Nuovi Media”, soprattutto nei musei, sia quella della formazione di nuovi professionisti, che sappiano approntare un lavoro interdisciplinare, integrando il pensiero e il lavoro di curatori e restauratori con quello di archivisti, montatori, ingegneri, tecnici audio-video, specialisti di conservazione digitale.

JULIA DRAGANOVIĆ
Kunsthalle – Osnabrück

Grazie a una spiccata tendenza a produrre opere effimere, la conservazione dell’arte contemporanea affronta di continuo nuove sfide. Apprezzo molto gli artisti che, pur (o forse addirittura perché) concentrandosi sui processi, inseriscono nella loro produzione artistica modi per rendere il loro lavoro accessibile anche alle generazioni che verranno. Non fidandosi della digitalizzazione e della oramai solita documentazione audio o foto/video, tanti artisti compongono un mix tra oggetto analogo e documento digitale o rinunciano perfino totalmente a quest’ultimo, trasformando in tal modo il processo in una serie di singoli elementi fisici.
C’è anche chi, come Pablo Helguera, affida il processo di documentazione ai partecipanti dei suoi progetti. Il suo lavoro Vita Vel Regula, che terminerà il 23 novembre 2097 (sicuramente dopo la scomparsa dell’artista stesso, nato nel 1971), consiste in una specie di accordo tra Helguera e cento persone che si sono riunite nel 2013 a Milano per aprire delle buste in date precise fino a quell’anno 2097. Ogni busta contiene un’istruzione su cosa raccogliere e conservare per i posteri, tra i quali (così spera l’artista) sua figlia nata nel 2010.

Domenico Quaranta

Domenico Quaranta

DOMENICO QUARANTA
Critico e curatore

Qualche anno fa, il teorico dei media Viktor Mayer-Schönberger invitava in un libro a riscoprire le virtù dell’oblio. La sua non era una risposta polemica all’idea di conservazione e di memoria. I dati digitali resistono, o cedono, al flusso del tempo in maniera diversa dalle tracce materiali. I media digitali sono strutturati per consentirci di conservare il più minuto atto comunicativo: email, chat, conversazione, appunto, schizzo, versione beta di un lavoro, post su un network sociale ecc.; al contempo, tuttavia, l’obsolescenza tecnologica e il ritardo nell’avvio di un’appropriata pratica conservativa possono portare all’oblio assoluto, o alla sopravvivenza di pochi frammenti casuali e insignificanti.
Oggi dobbiamo salvarci tanto dalla memoria totale quanto dall’oblio assoluto. Ma come? Oggi più che mai, attraverso la scelta, o, se vogliamo, la curatela. L’arte contemporanea avrà più chance di futuro di ogni altra espressione del passato, quando avremo deciso che cosa dimenticare.

CLAUDIA COLLINA
Istituto per i beni artistici, culturali e naturali – Regione Emilia-Romagna

La corretta conservazione è uno dei primi atti di valorizzazione di un bene che si ha il dovere di perseguire. L’educazione al bene culturale, al suo valore, alla sua deteriorabilità e al suo rispetto sono principi che dovrebbero rientrare nell’educazione dell’individuo sin dalla più tenera età, in quanto la “consapevolezza” nei confronti del patrimonio culturale possa essere stimolo di rispetto e volano per l’azione conservativa delle amministrazioni. Sulla conservazione sarebbe opportuna la modificazione e l’osservazione di qualche regola: nei contratti siglati dagli artisti andrebbe sempre richiesta, senza meno, la relazione sul loro lavoro che, documentando le materie e le tecniche costruttive e di allestimento dell’opera, dovrebbe costituire il fondamento degli interventi conservativi e dei successivi restauri.
È fondamentale la schedatura delle opere con uno strumento che sia adeguato a questi parametri: la scheda per le Opere d’Arte Contemporanea (OAC) dell’ICCD ha, nei campi relativi ai materiali, alle tecniche dell’oggetto e alle fonti e documenti, il suo corredo d’informazioni per la corretta conservazione, punti di forza che fanno di essa uno strumento per la catalogazione condivisa e partecipata delle opere d’arte contemporanea; e per la realizzazione di banche dati elettroniche dialoganti che portino a conoscenza di tutti, valorizzandolo, un patrimonio artistico contemporaneo diffuso e le informazioni per la sua conservazione preventiva.

Carla Subrizi

Carla Subrizi

CARLA SUBRIZI
Università La Sapienza di Roma

È strano che in un’epoca in cui sono stati proprio gli artisti a sottolineare l’importanza dell’archiviare, si vada verso una smaterializzazione del passato. Gli artisti insegnano sempre! Come storica dell’arte contemporanea e anche come responsabile degli archivi della Fondazione Baruchello, mi impegno a mantenere integra e accessibile la memoria che deriva non soltanto dal leggere una lettera o dal rintracciare una corrispondenza tra documenti: mi interessa la memoria che nasce da diversi ambiti di ricerca, da differenti approcci e, soprattutto, dal poter far incrociare (e talvolta far contraddire) materiali che possono anche essere ubicati in sedi diverse. Quindi è necessario che si conoscano sedi e consistenze di piccole o grandi riserve di documenti, talvolta sconosciuti. La Rete aiuta sempre.
Conservare è investire nel futuro; valorizzare è capire cosa il nostro presente ci riserva e fare delle scelte; rilanciare ogni piccolo o grande archivio è un modo per contribuire alla riscrittura continua della storia. Credo e difendo il documento cartaceo, mi impegno a trovare i migliori sistemi per non farlo deteriorare: nello stesso tempo auspico la digitalizzazione degli archivi di tutto il mondo a livello transnazionale.

LAURA BARRECA
Museo Civico – Castelbuono

La conservazione di opere d’arte contemporanea riguarda non solo le modalità attraverso cui queste vengono immesse e preservate all’interno di una collezione, ma la consapevolezza che la naturale trasformazione dei linguaggi visivi e delle tecniche di produzione, spesso effimere o non tangibili, corrisponde a una variazione di regole e di standard da adottare, con un atteggiamento brandiano del caso per caso.
Per la corretta conservazione di tali opere la conoscenza e la relativa documentazione è fondamentale, soprattutto se, come spesso accade, è l’unica fonte a cui attingere per la (ri) presentazione del lavoro. Per questo motivo la pratica della documentazione dovrebbe incorporare sia le indicazioni sugli elementi materiali, sia le informazioni dirette, come l’intervista all’artista; ma anche definire il contesto e il ruolo dei protagonisti nel processo di acquisizione delle informazioni, poiché è altrettanto necessaria la validazione dei contenuti relativi alle parti costituenti l’oggetto e l’idea, con l’obiettivo, prima di tutto, di preservare l’intento dell’artista.

MARCO SCOTINI
FM Centro per l’arte contemporanea – Milano

L’impressione che mi fece l’archivio di Harald Szeemann a Tegna non la posso dimenticare. Era il 2000 – centenario del Monte Verità – e passai un pomeriggio con lui in quel deposito di scatole di cartone piene di fogli e folder, di libri e foto, di lettere e documenti. Tutto era disordinato, ma avevo l’impressione di un ordine impeccabile e superiore. Sicuramente non sarà possibile avere la stessa impressione dagli archivi che stiamo generando! Il digitale è un dispositivo perfetto per inventariare, dematerializzare e far funzionare gli archivi che la modernità ci ha lasciato. Molto meno abile a procurarci però un nostro archivio in tempo reale.
Qual è il deposito di tutto quanto oggi facciamo, comunichiamo, negoziamo? Qualcuno tempo fa mi parlava del fatto che le varianti e gli errori un tempo rimanevano sulla carta. Al contrario oggi la versione finale di un testo non trattiene più nulla del percorso che l’ha generato. Questa mi pare una buona metafora per il nostro concetto di conservazione.

Benedetta Bodo Di Albaretto

Benedetta Bodo Di Albaretto

BENEDETTA BODO DI ALBARETTO
Project Marta – Torino

La conservazione del contemporaneo vive forti contraddizioni: la manutenzione dell’opera è fondamentale ma ancora sottovalutata, il restauro ne pregiudica il valore ma si rende spesso necessario. La sua irrepetibilità non risiede tanto nella sua materialità quanto nel messaggio che l’artista vuole comunicare, ma il collezionista non sempre ne è consapevole. Questo significa che, nel tutelare il suo investimento, può andare contro l’idea dell’artista, il quale può arrivare a esercitare il suo diritto di disconoscere l’opera, annullandone il valore intrinseco ed economico.
Cosa fare in termini pratici? Lavorare in anticipo sulla raccolta di informazioni. Nel mio caso, seguo uno standard e sfrutto la forza del contemporaneo, ovvero il contatto diretto con l’artista, senza paura di porre domande tecniche che traccino un percorso consapevole. La stessa strategia alla base dei sempre più numerosi archivi d’artista, che raccolgono dati preziosi e si uniscono in realtà come l’Associazione Italiana Archivi d’Artista. Il problema? Viene ancora percepita come prassi per artisti storicizzati, che prevede un lavoro lungo e oneroso. Al contrario, dovremmo promuovere con forza un modello per la corretta gestione di tutte le opere d’arte.

DEBORA ROSSI
Archivio storico delle arti contemporanee – Biennale di Venezia

Abbiamo scelto di usare la digitalizzazione per salvare i documenti registrati su nastro o su diapositiva a rischio di deterioramento, piuttosto che i documenti cartacei che possono stare in archivio senza pericolo imminente di deterioramento e magari fare la gioia di chi, andando ad aprire un fascicolo, ritrova il documento originale. La Biennale è un’istituzione che fa mostre e una mostra è, in particolare, l’insieme della corrispondenza tra artisti, direttore artistico e ufficio che concretamente la realizza: contratti di assicurazione, elaborati tecnici, budget. La tradizionale corrispondenza, soprattutto quella non ufficiale che interessa l’evoluzione del progetto, passa oggi attraverso canali digitali difficilmente recuperabili, con una conseguente potenziale distorsione: ne consegue il pericolo di un’archiviazione ancora più formalmente ufficiale del passato, che registra soltanto i documenti ufficiali. Determinanti sono quindi le procedure interne che disciplinano la modalità di raccolta e conservazione dei supporti digitali, che possono essere adottate
Ma in questo modo cosa resta della mostra vera e propria? Solo la documentazione dei rapporti tra artisti e Biennale? Solo un fatto amministrativo? Grazie al digitale è possibile fare qualcosa di diverso, ovvero ricomporre una mostra attraverso tutte quelle informazioni visive, che ne sono parte essenziale, compresa le modalità di utilizzo degli spazi, la collocazione e la successione delle opere, la concezione visiva della mostra da parte di un curatore, che sono fattori decisivi. È esattamente il lavoro che stiamo portando avanti insieme ai nostri curatori, con riprese video di ogni mostra e un’accurata documentazione fotografica, cui si aggiunge ogni anno la raccolta della rassegna stampa da tutto il mondo.

Santa Nastro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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