Biennale di Venezia. Intervista alla curatrice del Padiglione polacco

A poche settimane dalla chiusura del grande evento veneziano, abbiamo incontrato Barbara Piwowarska, curatrice del Padiglione polacco. Una lunga chiacchierata per farci raccontare le intenzioni sociali dietro il progetto “Little Review”.

Partiamo dal progetto. In cosa consiste Little Review?
Little Review è un progetto realizzato da Sharon Lockhart, creato grazie al coinvolgimento di un gruppo di oltre trenta adolescenti ospiti del Centro Socio Terapeutico per ragazzi di Rudzienko, una istituzione per il reinserimento sociale nei pressi di Varsavia con cui Sharon collabora da anni.
Il titolo è ispirato a Little Review (in polacco Mały Przegląd), un giornale pionieristico ideato da Janusz Korczak, interamente scritto da bambini e adolescenti e pubblicato come supplemento settimanale del quotidiano ebraico Our Review (Nasz Przegląd) tra il 1926 e il 1939. Korczak fu uno stimato scrittore, un educatore progressista e direttore di un orfanotrofio. Seguendo l’ideale di Korczak, l’obiettivo di Lockhart era quello di creare all’interno del padiglione un forum per dare voce ai bambini, del passato e del presente.

In che modo?
La mostra è il risultato di numerosi workshop realizzati tra Rudzienko e Varsavia, nei quali l’artista ha domandato alle ragazze del centro terapeutico di confrontarsi con le copie di Little Review.
All’interno del padiglione troviamo dunque film e fotografie inedite ‒ documentazione dell’esperienza ‒ oltre che l’intero archivio dello storico giornale, per la prima volta tradotto in inglese. In questo modo Little Review è diventato una metafora, uno strumento trasportato all’interno di un contesto contemporaneo e applicato al presente attraverso nuovi media. L’intenzione era quella di sfidare l’immagine stereotipica degli adolescenti nei centri di socio-terapia e il modo in cui vengono percepiti dalla società.

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia. Photo Jens Ziehe

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia. Photo Jens Ziehe

Le fotografie in mostra ritraggono giovani donne del Centro di Rudzienko, mentre leggono Little Review presso la Libreria Nazionale di Varsavia, dove la rivista è tutt’oggi conservata. C’è dunque chiaramente la volontà di mettere in relazione, a cento anni di distanza, le due epoche, riflettendo sulle relazioni tra passato e presente. In che modo il progetto esplora la Polonia di oggi?
Lockhart ha convinto un gruppo di 32 giovani ragazze, ospiti del centro di socio-terapia, a leggere e confrontarsi – a novant’anni di distanza ‒ con i contenuti presenti nelle storiche copie di Little Review, invitandole a comprendere le storie e i problemi dei giovani corrispondenti del giornale, ragazzi che prima della guerra avevano la loro età.
Devi capire che i centri di socio-terapia in Polonia sono percepiti come ostelli per giovani disadattate senza futuro. Lockhart voleva sovvertire questo cliché, scommettere sulla loro sensibilità, e soprattutto notare le corrispondenze tra le due epoche: gli articoli ai quali le ragazze erano più interessate erano proprio quelli in cui i giovani giornalisti scrivevano di problematiche personali condivise anche dalle lettrici. Si è dunque cercato di creare un dialogo tra le due epoche, perché i problemi vissuti dai ragazzi, in molti casi, rimangono gli stessi.

La tua relazione con Sharon Lockhart risale ad anni fa, al tempo del tuo soggiorno in America. Com’è iniziata la vostra collaborazione, e cosa ti ha spinto a esplorare la sua ricerca?
Ho incontrato Sharon la prima volta dieci anni fa a New York e poi a Berlino, dopo aver curato la sua prima proiezione in Polonia, a Bytom, durante la residenza internazionale Live, Survive and Create organizzata da Sebastian Cichocki alla galleria Kronika nel 2007.
In quel periodo lavoravo molto con film e video sperimentali. In particolare ero affascinata dai suoi film a pellicola 16 mm, e specialmente dal modo in cui riusciva a espandere e concettualizzare il medium cinematografico e fotografico. Lockhart gioca molto con la contrapposizione tra reale e messa in scena. I suoi film sono lenti, statici ‒ ricordano la pittura, il teatro, la fotografia. A loro volta, le sue foto sembrano sequenze di scene cinematografiche. In esse il tempo si allunga, si espande nello spazio.

Barbara Piwowarska, curatrice del Padiglione polacco alla Biennale di Venezia 2017

Barbara Piwowarska, curatrice del Padiglione polacco alla Biennale di Venezia 2017

Il fatto che l’artista rappresentante non fosse polacca ha creato non poche discussioni e critiche in Polonia (nonostante non fosse la prima volta in cui il Padiglione polacco proponeva un artista straniero). Quanto è necessario, secondo te, che all’interno di un padiglione nazionale l’identità di un Paese venga espressa da un artista locale?
Abbiamo ricevuto critiche nonostante avessimo vinto un concorso pubblico: il nostro progetto è stato giudicato da una giuria composta da professionisti provenienti da tutta la Polonia, e scelto tra le cinquanta proposte inviate da artisti e curatori di tutto il mondo. Così come già nel 2011 con Yael Bartana, prima artista non-polacca invitata a rappresentare la Polonia, le motivazioni nazionaliste sono state assecondate per dare spazio al contenuto.
Malgrado l’ondata di disappunto e il forte risentimento da parte di molti degli operatori artistici nazionali, gran parte della comunità artistica di Varsavia ha invece supportato il progetto contribuendo e ospitando diversi workshop con le ragazze di Rudzienko. Oltre cento collaboratori si sono uniti a Sharon e al team del padiglione: coreografi, giornalisti, scienziati, artisti, terapisti, educatori e volontari, per non parlare delle varie istituzioni che si sono schierate a favore di Little Review ‒ dal POLIN Museum of the History of Polish Jews, al Museo di Arte Moderna di Varsavia, fino alla Galleria Nazionale Zacheta, principale organizzatore dell’evento.
Al di là delle critiche, questo risultato per me dimostra che il progetto è arrivato oltre le distinzioni nazionali. Tutti coloro che hanno contribuito, lo hanno fatto per le ragazze di Rudzienko. Sono loro che hanno rappresentato l’idea di identità.

Pensando ai padiglioni polacchi del recente passato, trovi una linea comune o delle differenze sostanziali tra il padiglione da te curato e quelli delle scorse edizioni?
Abbiamo preparato la proposta con Sharon nell’agosto 2016 con la chiara volontà di presentare qualcosa di mai visto prima, qualcosa che sembrasse differente dagli altri padiglioni polacchi del passato. Per come è stato pensato il padiglione, potrei immaginare solo un artista come Paweł Althamer al posto di Sharon; solo lui potrebbe dar vita a qualcosa di simile, a livello formale e sociale.
I padiglioni polacchi non hanno mai avuto progetti socialmente impegnati, a maggior ragione dedicati alle giovani donne ‒ e di certo non si sono mai concentrati sul materiale d’archivio riguardante l’eredità di Korczak. Abbiamo combinato questi due aspetti e proposto qualcosa di importante e di inedito da rivelare al pubblico internazionale.

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia

Sei spesso impegnata in progetti curatoriali che affrontano tematiche fortemente legate al sociale. Intendi l’arte come una occasione di scambio e dialogo?
Sì, assolutamente. Soprattutto dopo questo progetto, credo nell’arte applicata al sociale come mai prima. Sono davvero grata a Sharon e alle ragazze di Rudzienko per avermi accolto in questo sforzo collettivo, che reputo di grande efficacia sociale. Lavorando con loro ho intrapreso un vero e proprio percorso umano, non solo artistico, ed è stata la prima volta nella mia vita.

Quali sono state le difficoltà maggiori, durante la realizzazione del Padiglione?
La prima sfida è stata lavorare con degli adolescenti. La seconda è stata dover produrre il progetto in soli quattro mesi, un tempo decisamente troppo breve (altri Paesi annunciano il concorso almeno un anno prima della Biennale). La terza difficoltà è stata la pressione sentita dalle tante istituzioni coinvolte.

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia

Sharon Lockhart, Little Review. Biennale di Venezia 2017, Padiglione Polonia

E le soddisfazioni?
La più grande è stata vedere le ragazze di Rudzienko in visita al padiglione, accompagnate dai loro insegnanti dal centro di socio-terapia. Nessuno si sarebbe mai aspettato potesse succedere. Per molte di loro era la prima volta che viaggiavano all’estero.
La seconda grande soddisfazione è stato veder tradotto Little Review in tutte le sue copie dal 1926 al 1939. Le traduzioni sono consultabili nel padiglione, ma soprattutto sono fruibili online, a disposizione gratuita di studenti, studiosi e università.

Il tema della Biennale, dal titolo Viva Arte Viva, era quello di rimettere l’artista al centro. Credi che il padiglione polacco, ci sia riuscito?
Ho paura di deluderti, ma abbiamo costruito questo progetto con Sharon prima che Christine Macel e la Biennale annunciassero il tema e l’idea per la mostra principale. Penso che il centro del progetto Little Review non sia l’artista, ma i suoi collaboratori: le ragazze di Rudzienko.

Alex Urso

https://zacheta.art.pl/en/wystawy/maly-przeglad

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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