Mostre e interattività. Una questione di conoscenza

L’interattività è una delle componenti che ricorrono sempre più spesso nelle mostre attuali. Ma quali aspetti dell’interazione sono davvero efficaci, se applicati alle logiche espositive? Forse la risposta è da ricercarsi nella conoscenza delle esigenze del pubblico.

Uno dei temi che preoccupa i curatori e lo staff organizzativo di un’esposizione è dotarla di un carattere di interattività. Il punto cardine della riflessione è semplice: nella nostra società “liquida” ci sono termini che, sebbene nati in contesti specialistici, vengono fagocitati dalle connessioni che riescono a generare. Così “interattività”, che indica la capacità di un elemento di interagire con altri elementi, ha subito un’interpretazione quasi esclusivamente tecnologica.
Certo, l’ausilio di sempre più device in grado di migliorare il livello di fruizione culturale dovrebbe essere un elemento cardine nei musei, ma l’interazione tra il contenuto culturale e chi lo fruisce non può e non deve essere demandata esclusivamente a un tablet o a un totem. L’interazione con un’opera d’arte è il frutto di numerose variabili che rimandano in primo luogo al ruolo del curatore, capace di innescare o meno un dialogo tra i fruitori, le singole opere e l’intera esposizione. Ma è anche frutto di elementi di natura tecnica, come le condizioni luminose, la regolazione dei flussi di visitatori e tutto ciò che si interpone tra noi e la sospensione dell’incredulità.

Immaginiamo un’app che personalizzi il contenuto informativo legato alle singole opere e all’intera esposizione sulla base della “conoscenza” mostrata dal visitatore”.

Ma l’interazione è anche frutto di conoscenza. E con conoscenza s’intende tanto quella del fruitore quanto quella dell’istituzione culturale. Alla prima va ascritta la capacità di interpretare un’opera. Dalla seconda, invece, dipendono gli aspetti che pongono “ciascun” visitatore nella migliore condizione possibile durante il processo fruitivo. È questa la frontiera principale dell’interazione, dalla quale non si può prescindere nell’evoluzione del rapporto tra società e cultura. Lo hanno capito bene le aziende che producono e distribuiscono contenuti online. Quando sui nostri smartphone arrivano le news di Google, queste sono state selezionate sulla base di un algoritmo evolutivo ideato per veicolare i contenuti che potrebbero interessarci di più. Applicare questo modello di fornitura di contenuti a un percorso espositivo non è però così scontato, né è sempre detto che sia giusto.

MOSTRE E APP

Ma pensiamo un attimo a come potrebbe essere diversa la fruizione di una mostra se un’istituzione culturale decidesse di adottare un percorso di conoscenza nei riguardi dei fruitori. Immaginiamo un’app che personalizzi il contenuto informativo legato alle singole opere e all’intera esposizione sulla base della “conoscenza” mostrata dal visitatore. Di fronte a un’opera di un artista sconosciuto, nei nostri auricolari scorrerebbero le informazioni più importanti per poterla comprendere nel suo insieme; di fronte a un artista che invece conosciamo bene (avendo “visitato” online le sue opere per un certo numero di “ore” nella nostra cronologia storica), il testo ci proporrebbe approfondimenti specifici. Il ricorso alle tecnologie soltanto in fase di display è forse il medioevo dell’interazione. La vera interazione è quella che parte dall’istituzione culturale.

Stefano Monti

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #4

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più