Di vetro e di ossa. Il Memento Mori di Jan Fabre a Venezia

Abbazia di San Gregorio, Venezia – fino al 26 novembre 2017. Una selezione di quaranta opere in vetro di Murano e ossa animali e umane racchiudono i codici espressivi e la poetica di Jan Fabre. Tra fragilità e resistenza, tra interno ed esterno, tra vita e morte, l’ultimo grande progetto dell’artista belga.

Verde come la speranza ma anche come il veleno”, al centro del chiostro dell’Abbazia di San Gregorio emerge lo scarabeo stercorario in vetro di Murano sormontato da una pianta d’alloro, ultima opera realizzata da Jan Fabre (Anversa, 1958), sintesi del ciclo naturale della vita tra metamorfosi, morte e rigenerazione. Mentre tutt’intorno, sulle mensole, si stagliano colombe blu e ratti volanti.
Sono il vetro e le ossa a fare da protagonisti nel progetto inedito che racchiude quaranta opere realizzate tra gli Anni Settanta e i giorni nostri. In questa riuscita esposizione dove confluisce tutta la poetica dell’artista, la summa concettuale e analitica che, tra orrifico e immaginifico, dalla costante dualità della rappresentazione arriva ai processi metamorfici passando per la caducità dell’esistenza. Tra altari catacombali di ossa e vetro che esibiscono una vagina e un pene, teschi blu come il momento sublime in cui l’oscurità si apre alla luce e il grottesco cimitero dei cani abbandonati che strazia l’anima.

Jan Fabre, The Catacombs of the Dead Street Dogs (2009-2017), dimensioni variabili, vetro di Murano, scheletri di cani, acciaio, photo Pat Verbruggen, copyright Angelos bvba

Jan Fabre, The Catacombs of the Dead Street Dogs (2009-2017), dimensioni variabili, vetro di Murano, scheletri di cani, acciaio, photo Pat Verbruggen, copyright Angelos bvba

TRADIZIONI A CONFRONTO

Se l’utilizzo delle ossa, come memoria della presenza dell’uomo, proviene da quella tradizione pittorica fiamminga che univa i pigmenti alle ossa animali triturate finemente, la fascinazione del vetro come medium alchemico arriva, invece, dall’infanzia di Fabre e ne segna gli esordi con The Pacifier, paradossale succhiotto in vetro e ossa, mai esposto prima, metafora della bellezza dell’arte che tanto appaga quanto ferisce, realizzato dopo aver assistito a una mostra di Beuys. Proseguendo ci si imbatte nella strepitosa, quanto mai attuale, Canoa congolese a misura naturale che assembla con maniacale accuratezza migliaia di lamelle d’osso, corredata da remi di vetro dalle estremità a forma di mani. Per passare al corridoio dove, ai teschi da cui spuntano scheletri di piccoli animali si alternano spettrali monaci ottenuti dalla sezione di ossa animali combinate a quelle umane. E ancora una teoria di globi-ovulo invasi da miriadi di spermatozoi, una croce con decorazioni vitree a pelte in cui s’insinua lo scheletro di un serpentello, citazione del peccato originale nonché omaggio al Giardino delle Delizie di Bosch e infine sfere e tartarughe disseminate sul pavimento.

Jan Fabre, Skull with squirrel, 2017

Jan Fabre, Skull with squirrel, 2017

TEMPO E PRECARIETÀ

Tra compiacimento estetico e repulsione, tra spettacolarizzazione e provocazione, attraverso i meccanismi del corpo e la spiritualità dell’anima come metafore dell’esistenza, l’artista si pone come tramite fra il mondo materiale e quello celeste. Mediante queste sculture di vetro e ossa, tanto fragili quanto dure e taglienti, tanto trasparenti e lucenti quanto opache, che tanto alludono allo scorrere del tempo e all’inevitabile precarietà dell’esistenza.

Roberta Vanali

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Roberta Vanali

Roberta Vanali

Roberta Vanali è critica e curatrice d’arte contemporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Cagliari. Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione collabora con Artribune, per la quale cura…

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