Straniamento e possibilità. Dalla Corea a Firenze

Le Murate, Firenze – fino al 20 aprile 2017. Disorientamento e disagio sono i mezzi comunicativi utilizzati nell'esposizione “Straniamento”, un gioiello di mostra che permette di vedere per la prima volta in Italia una rassegna di artisti coreani di rilievo.

Come afferma Bruno Murari, sono proprio i piccoli cambiamenti inaspettati apportati alle cose familiari che ci rendono creativi, costringendo la nostra mente a essere elastica e priva di preconcetti. Con questa idea di estraniazione e familiarità, le curatrici Jiyoung Lee e Kko-kka Lee mettono in campo una serie di lavori che, attraverso un continuo gioco di cambi di significazione, sfidano le categorie acquisite di “esotico” e “familiare”, “reale” e “finzione”. Sofisticati immaginari, le opere in mostra sono un esempio della filosofia del “Yuhakseng” (coreani che si internazionalizzano formandosi all’estero), che ha permesso il superamento della politica polarizzata fra tradizione e modernità, nazionalismo e transnazionalità promossa dal regime militare degli Anni Sessanta.

Seoungwon Won, Pilling Yesterday, Rippling Today, Wondering, Tomorrow, 2012

Seoungwon Won, Pilling Yesterday, Rippling Today, Wondering, Tomorrow, 2012

UN ARCHIVIO DEL PRESENTE

Un ponte tra questi poli sono le fotografie di Seoungwon Won, nate dalla volontà di preservare la memoria intima di luoghi in profonda trasformazione a causa della continua modernizzazione della Corea. Centinaia di immagini, frammenti discontinui di spazio e tempo, vengono condensate in un montaggio per rappresentare un istante. Non si tratta però di un pregnante momento del passato, ma piuttosto dell’emblema di un’epoca in cui il tempo lineare ha perso ogni significato, alla Virilio. Infatti si tratta di un passato che non emerge da lontano, non viene rianimato. Questo passato viene letteralmente creato da immagini del presente, un presente che, però, a sua volta è fuggevole e in trasformazione. Le opere di Won quindi non sono una rimembranza, ma un archivio del presente minuziosamente e pazientemente collezionato.
Ancora luoghi fisici e virtuali si fondono nella mappatura site specific di Yiyun Kang. Quest’opera, che sembra avere radici nella Body Art e nell’arte minimale, vede una tela bianca modificarsi sotto i movimenti corporei dell’artista. È una manipolazione tecnologica e illusionistica alla quale seguono suoni che ricordano il bussare dei prigionieri una volta rinchiusi nel vecchio complesso delle Murate. Il trompe-l’œil digitale quindi parte dalla fisicità di un luogo, ma viene realizzato con immagini e suoni sintetici. Qual è la fonte d’autorità che rende una percezione vera in un’era digitale? Con questa domanda Kang echeggia le riflessioni postmoderne sulla perdita d’importanza del referente di Mark Poster.

Chan-hyo Bae, Existing in Costume. Henry VIII, 2012

Chan-hyo Bae, Existing in Costume. Henry VIII, 2012

IDENTITÀ E CAMBIAMENTO

La labile membrana che separa virtuale e reale è anche presente nell’opera di Minjeong Geum, Breathing Door e nelle fotografie di Sungpil Han che evocano le riproduzioni di cantieri su edifici in ristrutturazione. Molto più di una semplice riflessione metalinguistica sul mezzo fotografico, le sovrapposizioni di rappresentazioni di Han costruiscono un’indagine sulla suggestione mnemonica dei beni architettonici, simbolo di una identità culturale. Di identità, gender e stereotipi parlano invece i lavori di Chan-hyo Bae che, con la precisa minuzia di un quadro fiammingo, riproduce con il mezzo fotografico se stesso in veste femminile in costumi europei storici. Frutto del senso di esclusione vissuto dall’artista durante i suoi studi nel 2004 presso la Slade (UCL) a Londra, questi lavori sembrano esorcizzare la sensazione di alienazione attraverso quella che Bhabha avrebbe definito “mimicry”. Questo concetto legato alla critica post-coloniale non è il semplice atto di imitazione o affiliazione, ma sottintende una complessa stratificazione di significati legati alla creazione dell’alterità e ai giochi di potere tra dominatore e subordinato, in questo caso culturale e non politico.
Mobile landscape, le sculture orizzontali di Kim Jongku, ricordano la materialità e gestualità informale, ma si connotano di significati legati all’accettazione della perdita: la polvere di metallo, ora alla base delle sue creazioni, è quello che rimaneva dalla lavorazione delle solide sculture verticali che un giorno gli furono rubate. Inquietudine e ansia permettono di cambiare e di migliorare, sono opportunità uniche, anche se dolorose, che la vita ci regala per essere creativi.
Tra riflessioni post-moderne e fenomenologiche, Jongku Kim chiude la mostra con un gesto poetico, un messaggio ottimista, celebrandone il tema: l’inquietudine e l’alienazione come momento di crescita personale e creativo.

Livia Dubon Bohlig

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Livia Dubon Bohlig

Livia Dubon Bohlig

Laureata in Conservazione dei Beni Culturali a Parma (V.O.), ha successivamente conseguito un Master in “Management Culturale Internazionale” (Genova) e un Master in “Art Museum and Galleries Studies” (Newcastle). Curatrice, scrittrice e museologa, ha collaborato con diverse istituzioni, sia nell’ambito…

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