Sciamani post-sovietici a Milano

Laura Bulian Gallery, Milano – fino al 17 marzo 2017. Nella collettiva allestita presso la galleria meneghina, sei artisti originari dell’Asia Centrale ricreano o mimano rituali sciamanici. Al centro della scena, una collezione di opere prodotte dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dal 1991 al 2016.

Il titolo della mostra Neon Paradise coincide con il titolo del video del 2003 di Said Atabekov, in cui l’artista uzbeko assume le sembianze di uno sciamano e medita in ginocchio davanti alla porta scorrevole di un ipermercato. Una variante personale e bizzarra della figura tradizionale dello sciamano, che rimanda a una contemporaneità occidentalizzata e in parte alienata. Ma è anche l’ormai classica definizione eliadiana di “nostalgia del paradiso”, ovvero la nostalgia e la volontà di ritorno al giardino dell’Eden, a ispirare questo titolo. L’uomo, secondo Mircea Eliade, nutre il desiderio nostalgico di una felicità assoluta e originaria, e da questo desiderio nasce la ricerca del sacro come principio che trascende i limiti del tempo e della materia.
Intorno a questa duplice accezione di paradiso perduto, attraverso video, opere installative e fotografie, la collettiva proposta da Laura Bulian (corredata da un utile testo critico di Valentina Parisi) attua non tanto la rievocazione, bensì la ricreazione o mimesis dello sciamanesimo.

Neon Paradise. Shamanism from Central Asia. Exhibition view at Laura Bulian Gallery, Milano 2017

Neon Paradise. Shamanism from Central Asia. Exhibition view at Laura Bulian Gallery, Milano 2017

UTOPIE ANCESTRALI

Il rapporto spirituale tra uomo e natura è il tema dell’installazione video della cineasta uzbeka Saodat Ismaliova, che racconta in suoni e immagini il corso del fiume Oxus e la vita sulle sue sponde, con una poetica accumulativa che rimanda alle pratiche musicali centroasiatiche. Le fotografie e i video di Gulnara Kasmalieva e Muratbek Djumaliev e quelli di Vyacheslav Akhunov descrivono lo sciamanesimo come iter ascensionale per guarire da una malattia, trascendere i propri limiti, comunicare con la divinità.  Straniante è invece l’approccio non solo di Atabekov e del collettivo Kyzyl Traktor (“Trattore Rosso”) – che con giocosità decostruiscono stereotipi etnografici e new age – ma anche di Alexander Ugay che, utilizzando una vecchia cinepresa sovietica 8mm, trasforma la cerimonia del tè giapponese in un rito in bianco e nero, tra l’ironico e l’estatico.
In tutti i casi, le opere in mostra evocano un’utopia ancestrale che, dopo la caduta dell’URSS, rientra in un processo creativo di riappropriazione culturale e identitaria. Oscillando tra immaginazione artistica e ricerca documentaria, gli artisti, proprio come sciamani, sembrano attuare una sorta di abolizione della storia, riportando al presente pratiche spirituali antitetiche all’odierna urbs deritualizzata.

Margherita Zanoletti

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Margherita Zanoletti

Margherita Zanoletti

Con Francesca di Blasio ha pubblicato la prima traduzione italiana di “We are Going” dell’autrice e artista aborigena australiana Oodgeroo Noonuccal; con Pierpaolo Antonello e Matilde Nardelli ha co-curato “Bruno Munari: the Lightness of Art”. Dal 2004 idea e collabora…

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