Un altro tempo, una vittoria distante

L’arte contemporanea è un’ottima palestra per misurarsi con la realtà e fare i conti con i sistemi di equivalenza di successo e fallimento. Eppure gli esiti della creatività odierna sono più vicini all’idea di omologazione che alla sana logica del rischio e della libertà.

“Another time, another time
Oh there must be a hole in your memory 
But I can see
I can see a distant victory
A time when you will be with me”.
The Sound, Total Recall (1985)

Procedere dritti alla meta non avendo appunto più una meta, e scoprendo di non averla mai avuta – “le preghiere esaudite sono quelle che fanno soffrire di più” – la sofferenza e il dolore si equivalgono, tra quelli che “ce l’hanno fatta” e quelli che “non ce l’hanno fatta” – il sacrificio: le enormi pressioni a cui il successo, quello vero, sottopone un’anima e una mente creativa le dilaniano, le schiantano ad alta velocità: “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, / trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, / hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte, / che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz,…” (Allen Ginsberg, Howl, 1956). Bruciando via via le scorte, come una navicella spaziale che consumi tutto il combustibile perché tanto non ci sarà alcun viaggio di ritorno. (Questo si intende con l’espressione: “senza risparmio”).
Negoziare con l’assenza. Stai attento a ciò che desideri, perché potrebbe avverarsi. Come con Elvis Presley negli ultimi anni, il modello di tutte le successive dissociazioni divistiche, sparato irrimediabilmente nell’iperspazio della paranoia – e non sei più chi pensi di essere, e non sei più chi eri.
Il successo o il fallimento, in questo senso (vale a dire, in relazione allo sviluppo di una mente creativa e della sua ricerca; in relazione al concretizzarsi di una possibilità, di una potenzialità) sono perfettamente equivalenti.

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Una specie di “trascinamento”, contemplare un panorama in trasformazione (ed è una trasformazione che tutto sommato non sembra riguardarti, o ti riguarda solo in quanto spettatore, osservatore: ma è un’altra illusione) mentre forse sono gli “altri” a fare le cose, a condurre in un porto più o meno sicuro le loro esistenze. (Scegliere invece senza opporsi di “naufragare”, e scoprire in verità che questo tipo di naufragio – come ogni sano naufragio – nasconde un segreto, comporta una responsabilità, e richiede fiducia abbandono sicurezza totale – come dice il Lord Uthred di Bernard Cornwell nella saga I re del Nord: “Il destino è ineluttabile”.)

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L’arte contemporanea rappresenta la palestra per imparare a comprendere e a interpretare, fin da piccoli e piccolissimi, la realtà che ci circonda e il mondo in cui viviamo. È capace infatti di attraversare tutte le dimensioni dell’esistenza individuale e collettiva. È uno degli strumenti principali di quell’apprendimento “non-formale” che rappresenta e che rappresenterà sempre più un modello di conoscenza del mondo, dal momento che esso “è intenzionale ed è erogato nell’ambito di attività pianificate ma non specificamente concepite come apprendimento”, e che “indica attività intenzionalmente orientate a uno scopo, all’interno di contesti progettati per altri obiettivi” (Ivana Pais). In questa zona a metà strada tra “formale” e “informale”, sospesa e liminale, l’arte contemporanea può prosperare e fiorire come visione e cornice mentale di riferimento, come pratica e come piattaforma.
E allora, com’è che “i-migliori-artisti-dell’anno-appena-trascorso” sembrano tutti uguali? Fanno lavori tutti identici, equivalenti; sembrano occupare nicchie predeterminate (nicchie di mercato); realizzano ciò che è richiesto a ognuno, previsto, atteso – e tanto basta.
In alternativa: il quartiere di periferia, il paese e la città marginali, la geografia temporanea instabile precaria delle migrazioni sono luoghi adatti per incontrare, ragionare e creare; il confine non è una barriera che respinge, che tiene fuori (o dentro), ma un interstizio, un’intercapedine da abitare più che da attraversare; il margine è il posto più indicato in cui e da cui percepire il presente.
E in alternativa: il rischio, la libertà, la ribellione sono radici insostituibili del “nuovo”, dell’inedito (dunque del contemporaneo), ed elementi indispensabili alla ricerca. La disponibilità all’imprevisto e all’inatteso permettere di aprirsi e di accedere all’innovazione vera e non presunta, e affina gli strumenti e la sensibilità utili a distinguerla con sicurezza dalle altre versioni consolatorie, comode, camuffate.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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