Un Raffaello da non perdere. A Bergamo

La formazione, i capolavori giovanili, il San Sebastiano, la ripresa nell'Ottocento e gli echi contemporanei. La mostra godibile e di ricerca, allestita alla GAMeC di Bergamo, analizza il mito del maestro di Urbino.

Mantiene le promesse dei curatori la mostra Raffaello e l’eco del mito: rigorosa e di ricerca ma affascinante e godibile, adatta sia al grande pubblico che agli specialisti. Raffaello c’è, con opere di grandissima importanza ‒ non è dunque un nome sbandierato solo nel titolo come altrove accade; e vengono affrontati con dovizia di particolari sia il contesto, con opere coeve di altri autori, che le ripercussioni della sua opera sui secoli successivi, fino alla contemporaneità.
Iniziativa dell’Accademia Carrara allestita negli spazi della GAMeC, l’esposizione si basa su un allestimento originale e connotato ma non opprimente. L’ambiente in cui Raffaello si forma e i suoi maestri e riferimenti sono l’oggetto della prima parte della mostra: come in un ideale laboratorio della nascita dello stile raffaellesco, sfilano opere del padre Giovanni Santi e di Perugino, Pintoricchio, Signorelli… Il Libretto veneziano testimonia invece dei viaggi di studio compiuti dal pittore in gioventù.

Raffaello e l'eco del mito. Installation view at GAMeC, Bergamo 2018. Photo Giancarlo Rota

Raffaello e l’eco del mito. Installation view at GAMeC, Bergamo 2018. Photo Giancarlo Rota

RAFFAELLO MAGISTER

Ecco poi capolavori giovanili come la Madonna Diotallevi in prestito da Berlino, il San Michele dal Louvre, le tavole dipinte per il convento di Sant’Antonio a Perugia, opere che attestano non solo la precocità di Raffaello ma anche la sua rapida affermazione, con svariate commissioni e la qualifica di magister.
Dopo fasi analitiche, la mostra compie il primo affondo: il focus sul San Sebastiano, l’opera fulcro della rassegna che si sposta per l’occasione dall’Accademia Carrara (dove viene sostituita temporaneamente da una reinterpretazione di Giulio Paolini). La presenza dell’anticonvenzionale capolavoro è valorizzata da diversi raffronti iconografici e stilistici (da non perdere il Ritratto di giovane uomo di Hans Memling). E sono esposti anche altri due dipinti di Raffaello, il Ritratto di Elisabetta Gonzaga degli Uffizi e il Cristo redentore benedicente.

Francesco Vezzoli, Self Portrait as a Self Portrait (After Raffaello Sanzio), 2013. Courtesy l'artista. Photo Alessandro Ciampi

Francesco Vezzoli, Self Portrait as a Self Portrait (After Raffaello Sanzio), 2013. Courtesy l’artista. Photo Alessandro Ciampi

RISCOPERTA E DURATA DI UN “MITO”

Altro approfondimento stimolante è quello che descrive la riscoperta di Raffaello nell’Ottocento, tra omaggi “assoluti” e pittura di genere, riprese stilistiche e scene aneddotiche che mitizzano la vita dell’artista. La Fornarina, in particolare, viene affiancata in mostra a una serie di sue reinterpretazioni “narrative” davvero suggestive, da Faruffini a Schiavoni.
Ma il “mito” di Raffaello continua anche nel Novecento e nell’arte di oggi. Ne rende conto l’ultima sezione della mostra, curata col suo consueto piglio vulcanico ma esatto da Giacinto Di Pietrantonio (le sezioni “storiche” sono invece opera di Maria Cristina Rodeschini ed Emanuela Daffra). La gamma degli autori è ampia, tra riferimenti diretti e indiretti a Raffaello. Si va da Picasso, de Chirico e Donghi a Ontani, Fabro, Mariani, fino a Vezzoli e Roccasalva.

Stefano Castelli

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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