Tra Spagna e Italia. Caravaggio e Bernini a Roma

Alle Scuderie del Quirinale di Roma prendono forma i rapporti tra la Spagna e gli Stati italiani nel Seicento. Raccontati dalle opere d’arte di Patrimonio Nacional, istituzione di tutela dei beni della Corona Spagnola.

Una sinergia italo-spagnola ha permesso di esporre a Roma sessanta opere d’arte provenienti da diverse e prestigiose sedi madrilene, dove si conservano le collezioni della Corona Spagnola. La mostra segue un preciso percorso che illustra i rapporti politici e culturali tra i due Paesi nel Seicento, quando la maggior parte del territorio italiano era sotto la dominazione spagnola. Ed è facile capire come in quegli anni numerose opere italiane lasciarono la penisola: dai doni al sovrano per assicurarsi la sua benevolenza a quelle acquistate o commissionate da emissari dello stesso re; così come tanti artisti si trasferirono alla corte di Madrid, ad esempio il napoletano Luca Giordano. Ci furono anche pittori che dalla Spagna vennero in Italia per conoscere le novità artistiche del nostro Rinascimento e oltre, come i celebri Diego Velázquez, che in Italia innestò nella sua arte la nostra tradizione, o Jusepe de Ribera, che passò quasi tutta la sua vita a Napoli (nella sua bottega si formò il Giordano).

Massimo Stanzione, I Sette Arcangeli, 1620-30, Monasterio De Las Descalzas Reales, Madrid, courtesy Patrimonio Nacional

Massimo Stanzione, I Sette Arcangeli, 1620-30, Monasterio De Las Descalzas Reales, Madrid, courtesy Patrimonio Nacional

IL PERCORSO

Il percorso della mostra è scandito da alcune sezioni tematiche che ne evidenziano le congiunture storiche e stilistiche: dal Manierismo di Federico Barocci a un’opera di Caravaggio e di Guido Reni, protagonisti assoluti della pittura del primo Seicento, tra naturalismo e classicismo. Ancora di caravaggismo ci parla la pittura di Jusepe de Ribera, che visitò Roma e si trasferì poi a Napoli intorno al 1616, dove portò il naturalismo di Caravaggio a estreme conseguenze, con una rappresentazione dalla quale emerge con prepotenza il dato reale. A Roma nel 1629 arrivò il Velázquez, che come Ribera ammirò le opere di Caravaggio, ma anche quelle della scuola classicista di cui il Reni era uno dei più dotati rappresentanti.
Attenti a tutte le novità artistiche, gli ambasciatori e i rappresentanti del re non si lasciarono scappare capolavori di Gian Lorenzo Bernini, di Alessandro Algardi e dell’arte barocca italiana, così come tutti i più importanti pittori di Napoli, orgoglio di un Viceregno che era possedimento della Spagna, come Massimo Stanzione, Mattia Preti o Francesco Solimena.

Diego Velázquez, La tunica di Giuseppe, 1630 - Monastero dell'Escorial, Madrid

Diego Velázquez, La tunica di Giuseppe, 1630 – Monastero dell’Escorial, Madrid

I CAPOLAVORI

A “oscurare” una storia del collezionismo e del gusto dei reali spagnoli sono presenti in mostra alcuni capolavori che da soli bastano a creare file al botteghino delle Scuderie.
Il genio di Caravaggio è presente con Salomè, un impattante dipinto del 1607 circa, dove, diversamente dal solito, il pittore ha aggiunto del colore verdastro al suo tradizionale sfondo bruno, ben visibile dopo gli ultimi restauri. Da questo spazio in ombra di forte impatto drammatico la figura della protagonista emerge prepotentemente con il suo sguardo, uno strano sorriso che fissa lo spettatore, e con il suo manto di color rosso, come il sangue del sacrificio del Battista, causato dalla celebre danza della giovane. L’aguzzino, spesso rappresentato come un uomo dall’aspetto terrificante, ha qui le sembianze di un bellissimo giovane, il cui corpo è messo in risalto da una materia pittorica intrisa di luce, stesa con pennellate larghe, quasi impressioniste. L’opera fu probabilmente acquistata sul mercato napoletano ed era inventariata nella collezione del conte di Castrillo, fedele di Filippo IV, al quale la tela passò dopo qualche anno.
Lo stesso sovrano aveva già acquistato un altro capolavoro, La tunica di Giuseppe di Diego Velázquez (insieme al suo pendant: La fucina di Vulcano, oggi al Prado), dove l’artista, rielaborando la tradizione della pittura italiana assimilata durante il suo primo soggiorno in Italia, crea le premesse per uno suo stile più equilibrato e maturo, mostrando già quel realismo fortemente emotivo che va oltre l’uso degli eterogenei riferimenti a diversi artisti come lo stesso Caravaggio o il Domenichino, pittore dal temperamento decisamente classico. Anche il Crocifisso in bronzo dorato di Bernini fu acquistato a Roma per conto di Filippo IV, un vero capolavoro barocco intriso di luce e estasi. Tuttavia la scultura era forse troppo raffinata per la corte spagnola, visto che, dopo qualche anno della sua collocazione nel pantheon del Real Monasterio de San Lorenzo de El Escorial, fu sostituita con un’altra dello sculture Domenico Guidi, un’opera sicuramente di pregio, ma lontana dall’eguagliare l’estro espressivo di Bernini.

Calogero Pirrera

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Calogero Pirrera

Calogero Pirrera

Calogero Pirrera (1979) è uno storico dell’arte specializzato in arte moderna e contemporanea, videoarte, didattica museale e progettazione culturale. Vive attualmente a Roma. Ha collaborato con la cattedra di Istituzioni di Storia dell’Arte della Facoltà di Architettura di Valle Giulia,…

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