Quando l’arte è viva. Letteralmente

Si fa un gran parlare di “antropocene”, l’era attuale caratterizzata dall’intervento umano sulla Terra e sui suoi ecosistemi. Un intervento che, probabilmente, ha superato il punto di non ritorno. Ma come si rapporta l’arte con l’ambiente naturale in cui vive? E come è cambiata la coscienza ecologica degli artisti in questi ultimi anni?

Nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum”: così, nel I secolo a.C., diceva Lucrezio, sottolineando come il volere divino non abbia per nulla disposto la natura per i comuni mortali. Eppure l’idea di dominare ciò che è naturale è paradossalmente un istinto dell’uomo. Da tempi immemori.
Uno spontaneo guizzo antropocentrico che, però, negli ultimi decenni si accompagna con un rispetto sempre maggiore delle dinamiche della sostenibilità ambientale, della cura degli animali, della protezione di tutti gli esseri viventi. Una coscienza ecologica – sempre più spesso animalista – che ha ampliato gli orizzonti e, com’è naturale, si è manifestata creativamente attraverso l’arte.

2017: UN ANNO NATURALE

Così, muovendo da profonda curiosità per i meccanismi della natura e oscillando tra il voyeurismo e l’interesse scientifico, il 2017 è stato costellato da eventi e mostre che hanno messo al centro della ricerca artistica proprio la natura, le sue declinazioni e – perché no? –gli esseri viventi, fossero essi piante o animali.
Niente di nuovo se guardiamo al passato e pensiamo agli esperimenti di Land Art di Michael Heizer o di Robert Smithson o, anche, rientrando in patria, alla produzione artistica di Piero Gilardi. Proprio all’autore italiano, fondatore del Parco d’Arte Vivente di Torino, il MAXXI di Roma ha dedicato la grande retrospettiva Nature Forever, dove tra oltre sessanta opere – dalle installazioni ai video, passando per i vestiti di fiori e foglie – è stata ripercorsa tutta la vicenda umana e artistica di uno dei più grandi nomi della bioarte.
In mostra c’erano, naturalmente, anche i tappeti-natura, espressione di una ricerca complessa, dominata dal realismo e dall’interazione: la rappresentazione di un piccolo spazio naturale invita a toccare, a verificare il confine tra riproduzione artistica e fedele replica della realtà, racchiudendo in quel gesto istintivo tutto il suo potenziale, oltre le regole dell’estetica.
Una sperimentazione, quella di Gilardi, che ha segnato una svolta, influenzando inevitabilmente tutto ciò che ne è seguito. Ne troviamo eco anche nel progetto Naturally Artificially di Anto. Milotta & Zlatolin Donchev, ospitato nella project room di Villa Croce a Genova. Una stanza bianca, costellata da quelli che a un primo sguardo paiono minerali e cristalli incastonati nelle pareti. In realtà, le sette sculture sono state realizzate dagli artisti con stampanti 3D, il cui suono di lavorazione si spande per tutta la stanza, diffuso da tre lampade centrali. Alla replica perfetta delle forme si affianca questa volta il ribaltamento dei procedimenti e dei ritmi naturali, aprendo alla riflessione sull’esito di recenti ricerche che hanno evidenziato come l’attività umana, dalla rivoluzione industriale a oggi, abbia dato origine a un incremento rapidissimo di nuovi minerali.

Anto. Milotta & Zlatolin Donchev, Naturally Artificially. Villa Croce, Genova 2017

Anto. Milotta & Zlatolin Donchev, Naturally Artificially. Villa Croce, Genova 2017

ESTINZIONE E CONTRADDIZIONE

La natura è dunque prepotentemente presente nell’immaginario dell’artista contemporaneo, tanto da migrare dalla condizione di modello a quella di protagonista. È ciò che osserviamo ad esempio nelle opere di Joe Davis, artista americano la cui sperimentazione – è il caso di dirlo – si è rivolta ai misteri del genoma umano, giocando con corredi genetici e Dna.
Un percorso di continue domande e risposte, dove la biotecnologia diventa strumento d’arte, inseguendo un’etica della manipolazione, volta tanto alla riproduzione della forza e delle forme della natura quanto alla volontà di opporvisi. Gli esempi celebri si susseguono numerosi, da Marta de Menezes a Eduardo Kac e al suo coniglio verde.
Ma cosa sta succedendo oggi? Tra paura dell’estinzione, curiosità del microscopico, spettacolarizzazione della natura, quali strade si percorrono nella contemporaneità? La Fondazione Prada ha ospitato la mostra Extinct in the Wild di Michael Wang: un progetto racchiuso nell’ala nord del complesso milanese, che indaga le dinamiche della tutela delle specie animali e vegetali in via di estinzione. L’artista, infatti, mette in mostra una serie di creature viventi che in selvatichezza non esistono più, a causa della continua ingerenza dell’uomo. Il dito è puntato, seppur con estetica tolleranza, verso quegli interventi che hanno plasmato biomi e atmosfere, cambiandone definitivamente e inesorabilmente gli equilibri.
Il risultato è sorprendente nell’inevitabile contraddizione: creature la cui sopravvivenza è messa a rischio dall’uomo possono preservarsi solo ed esclusivamente grazie all’intervento dell’uomo stesso, attraverso la riproduzione di ambienti artificiali in grado di ospitarli.
In mostra – oltre all’ambystoma mexicanum e all’epalzeorhynchos bicolor, unici animali – verdeggiavano una ventina di specie vegetali, provenienti da Sud America, Africa, Oceania. Sotto teca, anzi, sotto serra: titolo delle singole “opere” è il nome scientifico di ogni creatura, cui segue la vicenda tormentata di una sopravvivenza ostacolata, alla quale si è cercato di rimediare con coltivazioni, tutele, addirittura tecniche come l’impollinazione manuale. L’intenzione dell’artista, il quale ha affiancato alle piccole serre una serie di fotografie che ritraggono i luoghi d’origine di queste specie, è quella di sollecitare l’attenzione intorno ai temi della sostenibilità e la consapevolezza intorno alla potenza devastatrice dell’azione dell’uomo.

ANTROPOCENE

L’intervento umano è motore e sintesi anche di Transcorredor, il lavoro di Henrique Oliveira al Centro Pecci di Prato: un percorso nel tempo che si snoda tra materiali diversi, come mattoni, cemento, paglia e, infine, il legno di un tronco d’albero dal quale si sbuca fuori, quasi a ritrovare l’unica via d’uscita nella natura, dopo secoli di asfalto. Un labirinto suggestivo e di grande impatto, dal fascino tanto claustrofobico quanto catartico.
Un percorso che, una volta di più, mette l’uomo di fronte al fatto di non possedere la natura, ma di influenzarne le dinamiche e di esserne a sua volta influenzato, travalicando, con l’osservazione attenta, i confini fra arte, scienza, divulgazione. Tanto da far emergere, dunque, legami e contraddizioni intrinseci del nostro pensiero creativo.

Renzo Piano, Biosfera, Genova, 2001

Renzo Piano, Biosfera, Genova, 2001

FRA ARTE E DIVULGAZIONE

L’azione dell’uomo e l’istintiva curiosità per le creature viventi rivive anche in alcune esposizioni dal carattere e dalle prospettive divulgative. E così dall’arte contemporanea si passa alle scienze naturali. Fino a settembre il Museo di Scienze Naturali di Genova ospita Kryptòs. Inganno e mimetismo – mostra a cura di Emanuele Biggi e Francesco Tomasinelli, già incontrati al Museo Civico di Zoologia di Roma con Zanne, corazze, veleni, che accoglie, in venti terrari, rane, insetti, rane e piccole specie specializzate nel mimettizzarsi nell’ambiente.
Uno sguardo curioso, ma certo più sensazionalistico, è quello offerto da Mojca Muzick e Aleš Mlinar, fondatori della società slovena Reptile Nest, che vanta tra le più grandi collezioni di creature viventi di quelle specie. Anche le mostre Snakes e Spiders sono state ospitate negli scorsi anni al Museo di Scienze Naturali di Genova, con percorsi alla scoperta delle specie più pericolose di serpenti in un caso e di aracnidi nell’altra.
Rimanendo nel capoluogo ligure, ma recuperando un’idea più scientifica di divulgazione, un celebre esempio d’incontro fra arte e natura è quello rappresentato dalla Biosfera di Renzo Piano, realizzata nel 2001 e collocata da allora nel Porto Antico. La struttura in vetro e acciaio – per 1.000 mq di superficie – è un giardino tropicale urbano, aperto al pubblico, dove si aggirano in libertà uccelli e rettili. Chiusa per alcune settimane per un’attenta operazione di risistemazione e restyling, la Biosfera è stata riaperta lo scorso marzo. “Non è un ambiente che si identifica geograficamente”, spiega Laura Castellani, curatrice della divisione Mediterraneo e Rettili di Costa Edutainment, che gestisce Biosfera e Acquario. “Ci sono creature, animali e vegetali che provengono da diverse foreste tropicali di tutto il mondo. Le prime abitanti della ‘Biosfera’ sono state le felci arboree, piante primitive, risalenti al Giurassico. Poi abbiamo inserito altre specie, come il Sicomoro, il Caffè, la Gomma. Da marzo 2017 invece ampio spazio, una vera e propria esposizione, è dedicata alle orchidee, piante molto note dal punto di vista estetico, ma della cui storia, suggestiva e avventurosa, si conosce assai meno”. Ad affiancare l’esposizione vegetale ci sono anche gli abitanti animali di questa singolare struttura: ibis scarlatti, una tartaruga e un pappagallo. Un esempio di ecosistema protetto analogo a quello allestito all’interno dell’Acquario: anche qui, un giardino tropicale è riservato all’osservazione di farfalle, uccelli, rane e camaleonti.

Martina Russo

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43

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Martina Russo

Martina Russo

Giornalista nata e cresciuta a Genova, città che è luogo di approdi ma anche di partenze; infatti sono stati molti i viaggi che l'hanno portata negli anni e la portano oggi a zonzo per il mondo. Umanista tenace, italianista nella…

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