Il profeta Elia tra le fiamme

In cosa consiste l’armonia del classico? Forse in un equilibrio tra opposti. Gli stessi opposti che oggi risultano difficili da digerire, preferendo etichette noiose e rassicuranti da apporre all’idea di arte e di cultura.

Atene, 5-6 aprile. Grandi viali bui, palazzi semidistrutti (in cui la gente vive dietro le persiane inchiodate da assi di legno, le finestre senza vetri e i muri smangiati) che sembrano usciti fuori da Baghdad o da un film d’animazione di Katsuhiro Ōtomo; una società frammentata, frantumata, sottoposta nell’ultimo decennio a una pressione enorme; eppure, nonostante questo – a dispetto di questo – anche una grande piacevolezza di vita: il Museo Bizantino è pieno di bambini e di ragazzini vocianti, dai movimenti che guizzano, e di icone silenziose: mille anni di storia – che, tanto per dire, a Istanbul (Costantinopoli) vengono di fatto elusi e rimossi con grande nonchalance – si dispiegano qui, in un allestimento molto curato e cristallino, con naturalezza e spontaneità. Il profeta Elia erompe gloriosamente in un tripudio di fiamme e fuoco e nuvole e sole raggiante, su una enorme tavola che era stata divisa in nove pezzi, trafugata, poi recuperata e restaurata dal Museo; il profeta Elia orovestito con i tre cavalli rossi e gialli è una copertina degli Stone Temple Pilots (che so, Purple…) realizzata trecentocinquanta anni fa. Il collasso del tempo (VII secolo, XVII secolo, XIX secolo, oggi: tutte le opere sono contemporanee). Una delle icone addirittura è dipinta in epoche differenti, corrispondenti ai tre ‘strati’ riconoscibili: Duecento, Quattrocento, Settecento.

***

Precario. Provvisorio. Effimero. Mobile. Mutevole. Interstiziale. Sballato.

***

Il profeta Elia. Museo Bizantino, Atene

Il profeta Elia. Museo Bizantino, Atene

Di contro a questo, la retorica insopportabile e irredimibilmente noiosa di un malinteso – e peggio digerito – “multiculturalismo” e della art as a political subject ascoltata all’interminabile conferenza stampa del solito megaevento artistico. Formule e formulette, parole d’ordine, ammiccamenti e occhiolini, cliché di un linguaggio consunto: Rethinking the logic behind the accumulation of works of art; negotiating current and historical analyses; processes of emancipation and alienation taking place in the interstice between the figures of the artist and the spectator (!). E poi: “Non ci sono maestri che possono dirci come vivere”. Sbagliato, ci sono eccome, sia vivi che morti; solo che non li volete ascoltare, perché vi sembra più comodo così.
Del resto, è meglio non mentire – perché tanto si vede, immediatamente, ed è sgradevole. Si fa miglior figura, e conviene anche, dire sempre la verità. Se la critica è stata per lungo tempo affermare la propria appartenenza al medesimo club e trovare la cosa rassicurante, consolante, e se così facendo l’arte si è venuta trasformando in qualcosa di terribilmente noioso e inutile; se la “cultura” nell’ultimo cinquantennio ha assunto una posa assessorile, ministeriale, istituzionale, dimenticando che le cose davvero importanti sono sempre avvenute il più lontano possibile dai palazzi e dalle sovvenzioni pubbliche; allora vuol dire che qui la situazione si è fatta interessante, e – lungi dal trovarci alla “fine”, dal dover “rimpiangere” i fasti dei bei tempi andati, dell’epoca d’oro (tutte cose per definizione illusorie), vale a dire gli Anni Sessanta e Settanta (ma rimpiangere poi cosa? E chi? Al massimo possiamo trovare qualcuno, e giusto qualcuno, da rispettare…) – siamo in un tempo e in un momento, il nostro, che non manca affatto di presentare aspetti e lati eccitanti. (Innanzitutto: il fatto proprio che sia nostro.)
Basta saper cogliere e guardare nel modo giusto, considerare dal punto di vista adeguato: l’altrove; l’intersezione; l’interferenza; il margine; il confine; il bordo; il limite; il codice di riferimento; il sistema di convenzioni; il suono, e il rumore; le onde, e gli scogli; l’opera, e la vita; la realtà; i processi di costruzione; la comunità.

***

Arciere e Partenone

Arciere e Partenone

Sull’Acropoli, 7 aprile. Davvero questo luogo emette energia. Guardare il Partenone e l’Eretteo senza gli occhiali da sole è quasi impossibile: fa male. Il contrasto tra il chiarore della pietra e l’azzurro profondissimo del cielo è abbacinante. È come assistere a una forma di radiazione culturale, a un’esplosione sempre in attesa di compiersi e costantemente rimandata. L’armonia del classico è forse questo? L’equilibrio tra forze e tensioni opposte, gigantesche. Metafisiche. Trasmissione: “Il turismo di massa tende a consumare un posto – invece di portargli e donargli energia.”

Christian Caliandro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più