Teatro. L’attualità di Lear, fra violenza e paura

Il testo di Edward Bond del 1970 torna in scena a Roma per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli ed è quanto mai attuale: da Lear a Trump, il Potere coltiva la paura per ottenere il controllo dei suoi sudditi. Strategia vincente o inevitabile passo verso l’autodistruzione?

La drammaturgia può illuminare sentieri già battuti dalla Storia o precorrere direzioni ancora invisibili, tracciando con la magia premonitrice delle parole futuri snodi politici internazionali.
È quel che avviene con Lear di Edward Bond (1970), riscrittura della tragedia shakespeariana, tornato in scena a Roma, al Teatro India, nell’ambito del progetto Confini realizzato da lacasadargilla. E mai momento fu più propizio: ora che il Muro è tornato prepotentemente sulla bocca di tutti, ora che la Paura è sentimento che agita gli istinti più irrazionali e si fa accarezzare da una politica sempre più imprenditrice del terrore. E mentre la Violenza invade i media, la tragedia di Edward Bond, con i suoi grumi di buia lotta di potere priva d’umanità, risuona forte a dir la sua nel mezzo degli eventi più sanguinari.

Lisa Ferlazzo Natoli, Lear di Edward Bond. Photo Sveva Bellucci

Lisa Ferlazzo Natoli, Lear di Edward Bond. Photo Sveva Bellucci

L’ALLEANZA FATALE TRA POTERE E PAURA

Il binomio Muro-Paura scuote da sempre la sociologia del diritto e la filosofia politica, fin da quando Hobbes fondò la teoria dello Stato Moderno come Leviatano, mostro cui i cittadini avrebbero dovuto guardare con terrore per restare tutti uniti e obbedienti tra le braccia del sovrano. L’essere umano infettato dalla paura accetta meglio la sua sorte di prigioniero in nome di una fantomatica sicurezza. E se il Potere ne è conscio e coltiva al meglio quel sentimento, avrà vita facile a ergere barriere e a controllare tutto, ma rischierà poi di autodistruggersi soffocato dalle sue stesse catene.
È ciò che avviene al vecchio Lear, qui magistralmente interpretato da Elio De Capitani, sovrano autocrate che nel corso del suo regno s’è alacremente dedicato alla costruzione di un muro per difendersi dagli attacchi dei nemici confinanti e che finirà ucciso proprio mentre sferra l’unico, simbolico, colpo di piccone alla sua mostruosa creatura. Le figlie Bodice e Fontanelle gli si ribellano, flirtano con i principi degli Stati nemici e se li sposano per convenienza, salvo poi finire barbaramente uccise quando le forze ribelli e rivoluzionarie, guidate da Cordelia, prendono il potere instaurando una dittatura della violenza se possibile più realista di quella del re-Lear. Perché il Potere inghiotte, ma risputa dalle viscere i suoi stessi germi in un ciclico bagno di sangue che partorirà solo altra morte, mentre il sogno del Muro continua a mietere vittime e un Tribunale del Terrore tortura i dissidenti.

Lisa Ferlazzo Natoli, Lear di Edward Bond. Photo Sveva Bellucci

Lisa Ferlazzo Natoli, Lear di Edward Bond. Photo Sveva Bellucci

UNA SUBLIMAZIONE ARTISTICA DELLA VIOLENZA

Sarebbe immorale non scrivere di violenza”, diceva Bond nella prefazione del suo Lear.
E la Violenza è qui assoluta protagonista, con la morte di Bodice per soffocamento che scuote gli spettatori, l’orrido accecamento di Lear che simbolicamente inizierà a vedere (e dunque a capire) solo dal momento in cui gli strappano via gli occhi.
Nella riscrittura bondiana resta ben poco dell’opera di Shakespeare: l’analisi raffinata e spietata dei rapporti familiari, l’abbandono e il conflitto archetipico tra padri e figli. L’autore inglese è più interessato alle ripercussioni politiche della figura di Lear che all’analisi delle dinamiche di sangue.
In scena ci sono porzioni di realtà spezzata: porte sospese a mezz’aria, frazioni di case, protesi di stanze, tubature che avvolgono e sovrastano il vuoto del palco. In questo spazio, che è scheletro cangiante e claustrofobico di una reggia ma anche proiezione onirica dell’incompiutezza umana, si dimenano i personaggi della tragedia, tutti votati alla distruzione perché infettati nel sangue dalla cieca brama di sopraffazione. Il suono è personaggio a sé, presenza che vibra e ruggisce sussurrando ossessivi refrain dell’inconscio.
Lisa Ferlazzo Natoli, che della tragedia ha curato anche un prezioso volume edito da Minimum Fax, firma una regia coraggiosa e complessa, riversando sul palco tutta la sua passione per il testo di Bond e guidando gli otto attori in scena nell’ardua impresa di interpretare ben trentacinque personaggi. Lear è la sublimazione artistica di una ciclicità che riguarda l’eterna storia delle democrazie d’Occidente e d’Oriente, e conduce comunque all’orrore. Un monito per oggi, un grido d’allarme per il domani.

Simone Carella

www.teatrodiroma.net

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Simone Carella

Simone Carella

Critico teatrale e cinematografico, collabora con il blog di teatro di Repubblica.it (Cheteatrofa) a cura di Rodolfo Di Giammarco e con il quotidiano on-line di cultura e spettacolo Recensito. Giornalista pubblicista dal 2007, ha conseguito il Master in Critica Giornalistica…

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