Il senso del teatro (e del cinema) di Aleksandr Sokurov

Nella cornice di “Conversazioni 2016”, 69° Ciclo di spettacoli del teatro classico di Vicenza, è andato in scena “Go.Go.Go.”, prima opera teatrale scritta e diretta dal regista russo Aleksandr Sokurov, spettacolo liberamente tratto da “Marmi”di Iosif Brodskij. Tra i temi affrontati emerge la relazione fra il teatro e il cinema.

PAROLA A SOKUROV
In occasione della prima internazionale di Go.Go.Go. al Teatro Olimpico di Vicenza per il 69° Ciclo di spettacoli del teatro classico, abbiamo dialogato con il regista Aleksandr Sokurov, chiedendogli innanzitutto di descrivere la sua idea di linguaggio teatrale in relazione al cinema. Sokurov afferma: “Il film quando arriva nelle sale è morto, è deceduto e rivive sempre uguale negli occhi di chi osserva. Il teatro, al contrario, ogni sera cambia, è un’espressione di vita reale, ha un cuore e una linfa vera”. E aggiunge una metafora: “Il teatro è come un albero. Prima si pianta il seme, poi cresce l’arbusto, e queste sono le prime prove. Poi i rami crescono e si moltiplicano tutti diversi tra loro, così come le varie repliche del testo, che così facendo cambiano anche forma all’albero”. Per comprendere Go.Go.Go. occorre guardare allo sviluppo di questo “albero”, considerando come il linguaggio cinematografico di Sokurov si sia plasmato sul teatro.

Aleksandr Sokurov, Go.Go.Go., 2016

Aleksandr Sokurov, Go.Go.Go., 2016

LO SPETTACOLO
All’inizio la scena propone un gruppo di persone in una piazza cittadina, pronte ad assistere alla proiezione del film Roma di Federico Fellini, mentre giovani acrobati si esibiscono a due passi da un bar. Dopo poco irrompe il regista italiano Paolo Bertoncello, riconoscibile dal cappello e dalla sciarpa rossa, disponibile e riluttante allo stesso tempo nei confronti del suo pubblico. Successivamente due figure entrano in scena con indosso abiti consunti e si aggirano fra i presenti e un mausoleo, posto sulla sinistra della scena, dedicato a una Santa, contenente nella base del formaggio. Questi sono Tullio (Max Malatesta) e Publio (Michelangelo Dalisi) due uomini-ratto orgogliosi di non essersi evoluti in semplici esseri umani e per questo disprezzati, scherniti e rifiutati da tutti i personaggi che popolano l’affollata piazza. Appaiono opposti: l’uno orgoglioso della propria cultura, l’altro dai gusti più basici e elementari. I due dialogano del loro esistere, della differenza fra topo e uomo, oltre che della capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ammettono che tutto quello che conoscono è stato assimilato, mangiando libri di celebri autori e bevendo cinema dalla pozzanghera posta sulla scena, che proietta i fotogrammi di Roma. Rimane loro il desiderio di assaggiare quel formaggio, nonostante siano dissuasi dalle parole di Iosif Broskij, interpretato da Elia Schilton che, presente sul palco, gli ricorda il valore della poesia come nutrimento essenziale per l’uomo. È, però, Anna Magnani (Karina Arutyunyan) a donare loro il nettare tanto desiderato, rendendoli schiavi e condannandoli a una macabra fine.

Aleksandr Sokurov, Go.Go.Go., 2016

Aleksandr Sokurov, Go.Go.Go., 2016

UNO SGUARDO CINEMATOGRAFICO
Il linguaggio cinematografico di Sokurov si plasma sull’architettura del Teatro Olimpico in maniera narrativa. Il serrato confronto dialettico tra i due personaggi e la città permette a Sokurov di generare una trama nella quale trovano posto le illusioni, gli errori, le speranze e soprattutto la bramosia di fagocitare, un’avidità famelica di inglobare istintivamente tutto. Questo telaio narrativo pone Go.Go.Go. come un ideale prosieguo di Faust, penultimo film diretto da Sokurov, in cui l’omonimo protagonista si confronta con Mefistofele proprio a riguardo del suo innato e mai soddisfatto desiderio di conoscenza. Come Faust, i due uomini-topo finisco attratti dalla volontà di andare, andare, andare, ma dove? Nel proibito, nel pagano e nello spirituale, sospinti da un desiderio primordiale che li intrappola nella statua. L’istinto appare la chiave di lettura dello spettacolo che si impadronisce di tutti i personaggi.
Nello spazio teatrale Sokurov pone sullo sfondo Publio e Tullio e in primo piano la bramosia del pubblico di vedere il film. In mezzo si aggira Brodskij, il quale, nell’epilogo consolatorio, getta un seme di speranza in questo mondo di avidità, abbracciando il ragazzo che, unico tra la folla, ha ascoltato in silenzio le sue parole sul valore della poesia. Questo personaggio e il suo relativo valore connettono Go.Go.Go. a Francofonia, in particolare alla voce del regista che, nella pellicola, si interroga su come l’arte possa salvare l’uomo dalle sue derive di pensiero e azione. Il regista afferma: “Il suo ruolo è di difesa dell’umanità, di anticorpo contro i batteri che la distruggono. Non ha valore salvifico, ma solo di difesa e cerco di portare in questo spettacolo questo valore”.
Il regista Leone d’Oro pone dunque la macchina da presa negli occhi degli spettatori, i quali compiono istintivamente un piano sequenza che segue i due protagonisti, riuscendo così, contemporaneamente, a focalizzare le dinamiche della scena, tutto ciò che solitamente l’obiettivo della macchina non riesce a cogliere e che il cinema mostra nel montaggio. In queste intersezioni di piani visivi e narrativi Sokurov costruisce il suo “albero”. Così facendo dimostra quanto il cinema possa trarre lezione dalla visione teatrale. Se all’interno della scena vicentina il cinematografico rimane puro intrattenimento, distruggendo quel valore spirituale, quasi sacrale, macchiato da istinto e bramosia, Sokurov concettualmente ne propone la sua evoluzione all’interno di una poetica visiva in continuo divenire.

Davide Parpinel

http://classici.tcvi.it

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Davide Parpinel

Davide Parpinel

Sono una persona che desidera avvicinare chiunque voglia all'arte e alle sue connessioni con l'uomo, la società, la storia, il presente, fornendo spunti e creando curiosità. Per compiere questa mia missione ho i titoli accademici, ho conseguito gli studi e…

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