La bellezza viscerale di Roberto Zappalà

Debutta a Ferrara, al Teatro Claudio Abbado, e poi a Verona al Teatro Ristori “I Am Beautiful”, lavoro della compagnia Roberto Zappalà. Ultima, ma non conclusiva tappa del progetto “Transiti Humanitatis”, che si avvale della storica collaborazione di Nello Calabrò e delle musiche di Puccio Castrogiovanni, eseguite dal vivo dai Lautari. Ne abbiamo parlato con il coreografo catanese Roberto Zappalà.

È partito da una scultura di Rodin, Je suis belle. Perché al Museo Rodin ha scelto quella scultura?
Avevo bisogno di trovare la cifra stilistica alla dimensione che volevo dare al balletto. Tutte le sculture di Rodin hanno una grande vicinanza al mondo del movimento e della danza. Le sculture si proiettano al di là di quell’equilibrio che una statua in qualche modo ha perché è stabile per natura. Il corpo vivo ha un disequilibrio e le statue di Rodin hanno la grande forza di proiettarsi verso l’infinito. Fra quelle che ho visto, questa ha di evocativo anche il titolo che, sia ben chiaro, parla della danza in generale, non necessariamente della mia. La danza dice “io sono bella”, così come sono. Qualsiasi tipo di danza.

Come si inserisce il suo lavoro nel progetto Humanitatis?
Quest’opera trancia violentemente il mio percorso drammaturgico di suggestioni legate all’umanità nel senso stretto del termine. Ho parlato dell’umanità ma in maniera estetica, volendo suggerire agli altri che la bellezza va abbracciata per essere aperti e farsi contaminare dall’armonia dei corpi. Una bellezza da raggiungere, un “andare verso”, non una fragilità, ma sta al pubblico giudicarlo. È fragile il senso dell’abbandono verso questo recupero. Il voler andare lo userei nell’accezione positiva, forte. Si tratta di affondare il coltello nella gestualità, nella bellezza del gesto. Infine si vedrà una vera coreografia, un gruppo che danza all’unisono, un viaggio contemporaneo all’interno della creazione.

Roberto Zappalà, I Am Beautiful - photo Serena Nicoletti

Roberto Zappalà, I Am Beautiful – photo Serena Nicoletti

Cosa ne è del testo di Oratorio per Eva?
In Oratorio c’era una drammaturgia forte che proveniva dal vissuto. In questo lavoro non ci sono orpelli, tutto è nell’espressione corporea. Non si sofferma su una cosa o su un’altra ma in superficie sfiora gli stati d’animo delle persone. Io credo che la danza in questo momento storico stia sviluppando creatività nel mondo della performance. A volte è meravigliosamente attiva. Si deve essere liberi di usare la parola. I miei spettacoli hanno molta danza e quello che si è perso ultimamente è la coreografia nel senso più puro del termine.

Corpo e bellezza. Cosa mettiamo al centro della nuova umanità?
Il corpo. Il corpo in qualche modo si distacca dall’anima. Prima di tutto il corpo. Il vecchio umanesimo mette lo spirito davanti a tutto il resto. Noi coreografi possiamo mettere in evidenza in prima battuta il corpo come stella dell’umano. Ovviamente il corpo diventa anche anima, la prima cosa che soffre è il corpo. Non è un caso che il corpo sia stato maltrattato. Vorrei che il corpo rimanesse espressione di dolore e altre volte di bellezza. Gli diamo un peso enorme da sopportare. In I Am Beautiful ho voluto dare al corpo priorità e presenza immediatamente legata alla bellezza.

Spesso capita che la gente dica che non capisce la danza…
Quando andate a vedere la Gioconda non vi chiedete cosa vuol dire o cosa ha pensato in quel momento. Perché si vuol capire la danza? Lasciarsi inebriare dalla bellezza o dalla violenza. O dal dolore che emanano, ma non necessariamente capire il perché del dolore.

Roberto Zappalà, I Am Beautiful - photo Serena Nicoletti

Roberto Zappalà, I Am Beautiful – photo Serena Nicoletti

Rodin usa le ombre proprie. Lei?
Anch’io uso il bianco e nero, tranne una cosa che vedrete.

Nei programmi di sala lei ci suggerisce sempre delle parole guida. In questo spettacolo quali sono?
Violenza. Credo di aver voluto rappresentare la bellezza nella violenza. Non la violenza drammaturgicamente sottolineata da atti espliciti, ma quella musicale e dei corpi. Non contro qualcuno ma loro stessi, come gruppo, nello spazio e nella circolarità che mi fa pensare all’abbraccio. Tutto inscritto in una qualità viscerale, la parte più terrigna del corpo legata ai piedi e alle pulsazioni del cuore e del petto.

Cos’è per lei la forza di gravità?
La caduta. Un senso di disequilibrio che spesso c’è nella mia danza. Sono le viscere. Tutto ciò che viene da lì è ben controllato, viene dall’interno di noi. È una gravità tenuta sotto controllo.

Simone Azzoni

www.compagniazappala.it

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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