Bill T. Jones: trent’anni di danza e di battaglie civili

La fama artistica che lo ha accompagnato è stata legata al suo essere trasgressivo, anticonformista, destabilizzante. Orgoglioso di essere nero, diverso, sieropositivo. Ora, a sessant’anni, sempre fiero, nel portamento, nello sguardo acceso e vigile, nel fisico statuario, si è ammorbidita quella rabbia presente nei lavori degli inizi e non solo. Ma ancora instancabile autore di spettacoli carichi di messaggi sociali, animato da una profonda fede nell’uomo.

Bill T. Jones continua a portare alto il nome della compagnia fondata negli Anni Settanta assieme ad Arnie Zane, compagno d’arte e di vita, scomparso nel 1988 per Aids. Della coppia si diceva che Zane, bianco, basso di statura, figlio di ebrei italiani, rappresentasse la parte intellettuale del duo, e che Jones, nero e possente, fosse il corpo, la pelle, l’istinto. Tecnica e pensiero Jones ora le racchiude entrambi. Superate le etichetta della provocazione, la compagnia è diventata un buon prodotto da tournée. E oggi festeggia i trent’anni di attività con un tour europeo. Si inizia dall’Italia (al San Carlo di Napoli, al Comunale di Ferrara, e al Romaeuropa Festival) con titoli diversi che ne tracciano il percorso.
Nell’unica serata del trentennale – all’Auditorium della Conciliazione di Roma per il Romaeuropa Festival – altri titoli, forse, avrebbero meritato di comparire per dare un quadro più ampio della carica innovativa apportata da Jones alla danza del Novecento. Quattro le coreografie presentate: Continuous replay, del 1977 e rimontato nel 1991; il celebre D-Man in the Waters, del 1989, e rivisitato dieci anni dopo; il recente Spent Days Out Yonder, del 2000 (per il progetto Metamondi sul sito metamondi.telecomitalia.com in streaming live e on demand di Telecomitalia.com, partner dell’evento, si può rivedere l’intero spettacolo all’Auditorium); e l’ultima creazione Story/Time, andato in scena al Teatro Eliseo.

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Bill T. Jones – Romaeuropa Festival 2012 – photo Julieta Cervantes

Continuous replay è uno studio di “improvvisazione strutturata” per tutta la compagnia, con un vocabolario ricorrente di linee nette. Brano solista originariamente coreografato e danzato da Zane e nato dal suo interesse per la fotografia e il cinema, nel 1991 è stato ripensato da Bill per un gruppo. Basato su 45 gesti precisi, accumulati nello spazio e nel tempo, lo spettacolo è costruito partendo da un solo ballerino in body, che emette sibili con la bocca, tagliando l’aria con le braccia mentre avanza su un corridoio luminoso tracciato sul quadrato del palco che s’apre lungo lo spostamento. A lui si aggiungono, con ingressi e uscite continue, altri ballerini anch’essi seminudi, che ogni volta ricompaiono indossando, via via di altri indumenti, e rispecchiando gli stessi movimenti dell’interprete principale. Il loro avanzare sembra dettato non dalla volontà, ma dall’inesorabile fluire del tempo. Sulla musica di Beethoven – il Quartetto per archi op. 18 n. 1 e il Quartetto op. 135 – sulla quale viene incorporata una partitura elettronica di Jerome Begin, essi si fermano di tanto in tanto, interagiscono tra loro, lasciano il corteo e ritornano facendo da lirico contrappunto con i loro gesti ripetitivi e ipnotici.
Spent Days Out Yonder è una pura esplorazione musicale – raro nel canone di T. Bill Jones – sul secondo movimento di Mozart String Quartet No. 23 in fa maggiore. Un flusso di movimenti eleganti, che inizia con i danzatori sempre di spalle a indicarci un altrove, un orizzonte lontano e vicino. Alzano le braccia, girano la testa, passano una mano lentamente e misteriosamente dietro la schiena, fino ad estendere quel vocabolario a tutto il corpo che diventa frontale.

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Bill T. Jones – Romaeuropa Festival 2012 – photo Julieta Cervantes

Il gioioso D-man in the waters, vero classico della modern-dance americana, nasce come grido di dolore contro l’indifferenza del mondo, un appello a non darsi mai per vinti. E Jones è la dimostrazione di questa forza interiore, che resiste al male offrendo una luce di speranza. È una celebrazione della vita e della resistenza dello spirito umano che nasce dalla sofferenza della perdita. Sul romantico Ottetto in mi bemolle maggiore di Mendelssohn per archi, si sprigiona tutta la fisicità sportiva della compagnia che si slancia in virtuali giochi nell’acqua. Ci si tuffa nel ricordo amniotico di spensieratezze passate e di memoria felici (è dedicato a Damian Acquaville, morto di Aids e ad aamici che non ci sono più). Perché per Jones, ancora oggi, il futuro anche più minaccioso, si affronta con un salto di gioia, con l’incoraggiamento a sopravvivere. E via, con le brevi corse e i salti sulle braccia o sulle spalle degli altri, le acrobatiche scivolate dentro e fuori un’immaginaria piscina, in un bel giorno d’estate, con il sangue che scorre forte nelle vene, tutti sostenuti, nel gioco dei rapporti e nelle evoluzioni aeree e sottomarine, dal soffice e fresco supporto dell’acqua amica.

Giuseppe Distefano

www.romaeuropa.net
metamondi.telecomitalia.com

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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