Il giro di vite al Festival di Spoleto

Il Festival di Spoleto sta risalendo la china, dopo una fase di incertezze e vertenze giudiziarie. Alla 55esima edizione, porta in cartellone 55 spettacoli e 106 aperture di sipario, 2 rassegne di cinema, 1 laboratorio teatrale, 3 convegni, 2 concorsi, 4 premi, oltre a diversi eventi speciali e mostre d’arte. Apertura con “Il giro di vite”.

L’evento inaugurale del 55esimo Festival di Spoleto è The Turn of the Screw, opera di Benjamin Britten commissionata dal Teatro La Fenice di Venezia dove ebbe la prima il 14 settembre 1954. A proposito del racconto di Henry James da cui è tratto il lavoro, Britten utilizzò tre aggettivi: “meraviglioso, sinistro e terrificante”. Dalla novella, Britten fece trarre un libretto affascinante da Myfanwy Piper: due atti (di otto scene e 50 minuti esatti ciascuno) pensati come uno specchio: a ciascuna breve e rapida scena del primo atto se ne riscontra una analoga nel secondo in cui, però, la tonalità di musicale è rovesciata o più semplicemente duplicata con un leggero mutamento. L’organico è all’osso: tredici orchestrali e sei voci (che possono essere ridotte a cinque) di cui due “bianche”, due soprani e un tenore. La struttura a specchio e la prevalenza di voci “alte” fa sì che le singole rapide scene diano il senso dell’avvitarsi della vicenda sino alla tragica “giaccona” finale.
Britten componeva “teatro in musica” con grande attenzione perché ogni parola venisse ascoltata e compressa e il testo avesse un significato forte. Consapevole dell’inevitabile declino dell’opera lirica, dovuto agli alti costi, Britten si concentrava su lavori che potessero essere portati da una città all’altra senza grande dispendio e per essere quasi sempre rappresentati per la prima volta nella Jubilee Hall, una piccola sala per 300 spettatori con una piccola buca d’orchestra e un modesto palcoscenico, costruita accanto alla Red House dove viveva con il tenore Peter Pears, suo compagno di vita da quando ambedue erano ventenni. Infine, Britten era doppiamente “diverso” in quanto “compositore di corte” e cattolico praticante in un regno protestante dove sino alla metà degli Anni Sessanta le relazioni omosessuali erano vietate.

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Benjamin Britten - The Turn of the Screw - Festival di Spoleto 2012 - photo Maria Laura Antonelli

Gran parte del teatro in musica di Britten – da Peter Grimes a A Death in Venice passando per Billy Budd, A Midsummer Night’s Dream a The Turn of the Screw – riflette questa doppia diversità.
The Turn of Screw ha come tema di fondo la perdita dell’innocenza, una perdita “ambigua” non essendo mai palese se siano stati i bambini Flora e Miles ad essere corrotti oppure se siano complici dei loro corruttori (ormai morti e divenuti fantasmi) o se il desiderio della loro nuova Governante di riscattarli celi un più sottile tentativo di conquista. Non è neanche chiaro se la perdita dell’innocenza sia connessa a possesso intellettuale, psicologico o sessuale. I riferimenti sessuali – all’onanismo, alla pedofilia – non mancano ma non hanno mai un accento morboso. Resta il dubbio che, a differenza della novella di James, il dramma in musica del cattolico Britten sia imperniato sulla redenzione, che ottiene, a presso della propria vita, il piccolo Miles, il più “corrotto” dei due fanciulli.
Per circa dieci anni si è visto in Italia un allestimento di Luca Ronconi, presentato a Torino, Roma, Cagliari, Parma e altre città; in alcune veniva messo in scena in traduzione ritmica italiana (e si perdeva quella fusione tra parola e musica che ne costituisce uno degli aspetti più importati). Le scene di Margherita Palli, i costumi di Vera Marzot e la regia di Luca Ronconi ci portavano in una Gran Bretagna vittoriana ossessiva. Pochi anni dopo, un’edizione firmata da Luc Bondy dava ai due tempi del lavoro una regia incalzante, alla Hitchcock, aiutata dalle scene dai rapidi cambi di Richard Peduzzi e dai costumi di Moidele Bickel: eliminati tutti i ciarpami vittoriani, il mondo The Turn of Screw diventava contemporaneo e ci prendeva ancor di più. L’edizione partì da Aix en Provence e girò per vari teatri europei tra cui Vienna.

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Benjamin Britten - The Turn of the Screw - Festival di Spoleto 2012 - photo Maria Laura Antonelli

L’allestimento di Spoleto si deve necessariamente misurare con questi precedenti recenti. Tanto più che di quello curato da Bondy esiste un ottimo Dvd che torna spesso in televisione. La regia di Giorgio Ferrara e le scene di Guido Quaranta ci portano, invece, in un vittoriano gotico: si ispirano al quadro del simbolista di tardo ottocento Arnold Böcklin sull’isola dei morti, idea di recente utilizzata per lavori così differenti come il Macbeth di Verdi e Arianna a Nasso di Strauss. Un’isola, inoltre, in cui i protagonisti arrivano e se ne vanno in barca. Quanto mai distante dal clima claustrofobico di Britten. Negli interludi, poi, accuratamente studiati per i cambi di scena, pochi elementi vengono portati sul palcoscenico tra torri di tufo e boschi di cipresso che molto poco hanno di vittoriano. La recitazione è curata, ma molto lenta, rilassando la tensione che dovrebbe caratterizzare un vero giro di vite.

Giuseppe Pennisi

www.festivaldispoleto.com

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Giuseppe Pennisi

Giuseppe Pennisi

Ho cumulato 18 anni di età pensionabile con la Banca Mondiale e 45 con la pubblica amministrazione italiana (dove è stato direttore generale in due ministeri). Quindi, lo hanno sbattuto a riposo forzato. Ha insegnato dieci anni alla Johns Hopkins…

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