Televisione. Alberto Angela e le “meraviglie” italiane

Osannato da pubblico e stampa, “Meraviglie. La penisola dei tesori”, il programma condotto da Alberto Angela su Rai 1, testimonia l’interesse da parte degli spettatori per una televisione che vada oltre il mero intrattenimento. Un segnale molto chiaro, di cui il servizio pubblico televisivo deve farsi interprete.

Nelle ultime settimane sarà capitato anche a voi di leggere sulla stampa titoli di questo tipo sul programma Meraviglie. La penisola dei tesori: “Tutti pazzi per ‘Meraviglie’ di Alberto Angela”, “Meraviglie, la bellezza del programma di Alberto Angela conquista l’auditel”, “‘Strepitoso’. È l’aggettivo che meglio esprime le emozioni provate ieri durante la visione del docu-programma”. Si è parlato della trasmissione di Alberto Angela, in onda su Rai 1 per quattro puntate, come di una vera “meraviglia”, tanto che abbiamo dovuto vederlo per capire di quale incredibile “meraviglia” si stesse parlando.
La trasmissione era un viaggio da Nord a Sud tra opere e luoghi del nostro Belpaese, compresi dodici siti Unesco italiani (tre per puntata), come il Cenacolo di Leonardo da Vinci, la Reggia di Caserta, la città di Siena, la Basilica di Assisi, la Valle dei Templi di Agrigento, i Sassi di Matera, le Dolomiti.
Il narratore era appunto Alberto Angela, ormai accreditato sex symbol del piccolo schermo e del web che, con garbo, passione e un po’ spettinato, ha raccontato con abuso di aggettivi come “straordinarie, stupende, spettacolari” le bellezze naturali e culturali che mostrava.
Le immagini erano in altissima definizione (tecnologia 4K HDR), la regia aveva numerose telecamere, c’erano diverse riprese con i droni, piani sequenza e alcuni effetti speciali.
E poi delle aggiunte: una sorta di “cartoline” di luoghi descritte dalla voice over di Francesco Pannofino, interviste a personaggi del luogo (vedi Gianna Nannini a Siena, Andrea Camilleri in Sicilia, Riccardo Muti in Puglia), e incursioni di personaggi storici interpretati da attori. Ecco, sono state soprattutto queste incursioni (le cosiddette minifiction) ad affascinare il pubblico, ormai totalmente dimentico dell’esistenza del dramma, una volta protagonista dei racconti in TV.

Così come ha coinvolto il linguaggio semplice ed entusiasta del conduttore, tanto che la parola meraviglie si è trasformata in un trending topic sui social, insieme ad #albertoangela. Non solo, i fan di Angela hanno anche coniato per lui l’hashtag #angelers e hanno aperto su Facebook una pagina e un gruppo con più di 22.800 membri che hanno sottoscritto le “Tavole della Legge Angelica”, la cui policy nel punto 1 cita: “Non avrai altro Divulgatore all’infuori di Alberto… Alberto è un Signore, ispirati a Lui”. Senza parlare dei meme che lo hanno visto protagonista, rappresentato come una sorta di supereroe dell’arte e della storia.
Con queste premesse si spiega uno share del 23.8%, che ha decretato uno dei più grandi successi televisivi degli ultimi anni.
Tutta questa galvanizzazione però ci ha lasciati veramente basiti (come scriverebbero gli sceneggiatori di Boris). Il programma è stato sicuramente un buon programma di divulgazione, ma non un eccezionale programma. Cosa dovrebbe fare infatti la TV generalista, e in particolare la TV pubblica, se non trasmissioni di questo genere e con questi contenuti? Meraviglie. La penisola dei tesori si è trasformata paradossalmente in un “evento culturale” perché la nostra TV non si occupa più di cultura da decenni, non usa i linguaggi della documentazione dai tempi di Franco Simongini, non si preoccupa più del sapere delle persone. E allora un programma perfettamente nei canoni di una TV pubblica, che con uno sguardo al passato recupera il dramma, e uno al futuro riprende le grafiche dai new media e si avvale del top della tecnologia, diventa un caso.

Alberto Angela al Cenacolo vinciano

Alberto Angela al Cenacolo vinciano

SENSO CRITICO E NECESSITÀ DI CONTENUTI

I tweet di esaltazione del programma sono una chiara dimostrazione dell’abbassamento del senso critico del pubblico TV. Ci si stupisce di quello che dovrebbe essere la norma. Ma contemporaneamente dichiarano che gli italiani sono interessati all’arte e alla storia. Con buona pace degli autori che, durante le riunioni creative, eliminano tutto quello che è culturale perché secondo loro troppo noioso e al “pubblico non interessa”.
Il segnale è quindi che c’è voglia di televisione fatta di contenuti, oltre che di storie e di chiacchiericcio. Un segnale che la Rai dovrebbe raccogliere e, di conseguenza, tornare a produrre costantemente programmi di divulgazione che dovrebbero essere il minimo del servizio pubblico per la massa. E invece Meraviglie. La penisola dei tesori è stata l’eccezione, talmente eccezione che si è scambiato il suo linguaggio informativo e divulgativo per culturale. Ma la cultura e l’approfondimento sono un’altra cosa. In molti passaggi c’erano spettacolarizzazione e suggestione, il linguaggio era semplice e poco elaborato. Ma può anche andar bene così per il pubblico di Rai1. Purché si chiamino le cose con il loro nome. E si ritorni a pretendere più qualità dal servizio pubblico televisivo, piuttosto che elogiarlo come fosse una regalia quando realizza qualcosa di buono.

Lorenza Fruci

www.rai.it/rai1/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati