Dalla tela alla pellicola. La pittura espressionista nel Nosferatu di Murnau

Immediata è la relazione tra l’espressionismo tedesco filmico e pittorico, ma come i dipinti di Ernst Ludwig Kirchner sono stati rielaborati da Friedrich Wilhelm Murnau nel suo “Nosferatu il vampiro”? Dalle tele del celebre pittore alla pellicola del cineasta, in quale modo la ripresa dell’originaria distorsione visiva ha tradotto un’affine crisi esistenziale e sociale?

Nella repubblica di Weimar, tra la fine degli Anni Dieci e l’inizio degli Anni Venti, si assiste alla sperimentazione di un linguaggio condiviso a opera di un gruppo di cineasti tedeschi, seppur con molte differenze tra i singoli autori: si tratta dell’Espressionismo filmico, a cui prese parte anche Friedrich Wilhelm Murnau proprio nel momento in cui stava realizzando il suo celebre Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922). Questi, infatti, come altri suoi connazionali, era ricorso alle arti visive e al teatro, nello specifico alla produzione dell’omologa corrente di una decade antecedente, quale modello visivo, registico e recitativo, nel tentativo di perfezionare il linguaggio filmico ancora in via di definizione. D’altro canto, il processo di nobilitazione era in essere già a partire dal 1913, con la fondazione della Autorenfilm, nata proprio allo scopo di conferire uno statuto artistico al settore, prima ritenutone privo.

Ernst Ludwig Kirchner, Der rote Turm in Halle, 1915. Museum Folkwang, Essen

Ernst Ludwig Kirchner, Der rote Turm in Halle, 1915. Museum Folkwang, Essen

L’IMMAGINARIO ORRORIFICO E LE TELE DI ERNST LUDWIG KIRCHNER

Per Murnau la citazione diretta o indiretta di fonti pittoriche risultò senza dubbio fondamentale; ne è un esempio il reiterato richiamo ai quadri di Ernst Ludwig Kirchner in Nosferatu, liberamente tratto dal Dracula di Bram Stoker. Nella pellicola, la narrazione del terrore, incentrata sullo scontro tra i due giovani sposi, Ellen (Greta Schröder) e Hutter (Gustav von Wangenheim), e il vampiro, il sanguinario Conte Orlok (ovvero Dracula, il cui nome fu cambiato per questione di diritti e che era interpretato da Max Schreck), è tradotta in diverse sequenze rifacendosi e rielaborando quella distorsione spaziale e cromatica tratto distintivo del corpus del pittore espressionista. Tale influsso è percepibile sin dalla sequenza d’apertura, in cui la piazza di Wisborg, cittadina in cui i protagonisti abitano e a cui approderà Orlok portando con sé una terribile pestilenza, riproduce immediatamente la kirchneriana Torre rossa a Halle (Der rote Turm in Halle, 1915), realizzata dall’artista nel 1914 durante la leva militare e poco prima dell’internamento in una clinica psichiatrica.
La straniante e distorsiva prospettiva aerea del dipinto, espressione del profondo tormento interiore discendente dall’esperienza bellica e dall’alienazione annessa alla vita moderna, è ripresa nell’inquadratura dall’alto della torre gotica, peraltro parzialmente tagliata, che incombe minacciosamente sulle case sottostanti, trasmettendo subito un marcato senso di angoscia e pericolo. La cornice urbana diviene quindi rappresentazione simbolica della minaccia alla tranquillità del nucleo famigliare costituita dal mondo esterno, su cui aleggia lo spettro futuro di Nosferatu. Non solo, anche il comparto cromatico (il film è colorato per viraggio e imbibizione) è vettore del medesimo significato; il marcato contrasto chiaroscurale che vige in alcune scene – come nell’esterno notturno ambientato nel porto all’approdo della barca del Conte, in cui la luce artificiale dei lampioni emana un fascio intenso che separa alcuni dettagli dalla diffusa tenebra – riporta alla mente l’opposizione coloristica tra il giallo e il nero in dipinti come Nollendorfplatz (1912) e ribadisce il medesimo vissuto di inquietudine.

LA PREMONIZIONE DELL’ASCESA HITLERIANA

L’originaria estetica distorsiva non tange solo l’elemento spaziale, ma anche quello antropologico. Le fattezze del Conte, in particolare quando assume la forma vampiresca, rimandano alle figure stilizzate raffigurate nel kirchneriano ciclo berlinese. Il make up innaturale del personaggio, attraverso cui i lineamenti del volto sono mutati in una maschera terrificante, rievoca l’astrazione fisiognomica delle protagoniste di quadri quali La Strada (Die Straße, 1913), Due donne sulla strada (Zwei Frauen auf der Straße, 1913), o Potsdamer Platz (1914). Inoltre, in un articolato iter di significazione, Orlok, di cui Nosferatu è doppio ultraterreno, è accomunato a Hutter dall’attrazione per la medesima donna, Ellen, suscitata dalla casuale visione della fotografia di lei. Di conseguenza il predatore sovrumano, incarnazione delle forze oscure che incombono sull’eroe, diventa anche suo riflesso, simboleggiando il Male che, insinuandosi nel quotidiano come entità fantasmatica, pervade anche l’identità del singolo. Metafora antropologica e storica, allora, nel film di Murnau, come constatato da Siegfried Kracauer in Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco (1947), il demoniaco che incalza l’uomo, reso dall’iconografia e dall’estetica kirchneriane, da un lato è espressione del vissuto travagliato e della crisi economica e sociale weimariana nell’immediato dopoguerra, dall’altro sembra essere fosca premonizione dell’ascesa, all’interno del popolo germanico, del futuro, terribile regime hitleriano.

Sabrina Crivelli

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Sabrina Crivelli

Sabrina Crivelli

Laureata in Economia e Gestione Aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha conseguito la laurea specialistica in Economia e Gestione dei Beni Culturali nel medesimo ateneo. Ha poi lavorato a Londra come analista finanziaria e frequentato nel medesimo periodo…

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