Blade of the Immortal: a Cannes tra violenze e comicità i samurai di Takashi Miike

Presentato Fuori Concorso a Cannes, Blade of the Immortal del maestro giapponese Takashi Miike. Dal manga al grande schermo una storia di tradizione e vendetta, in cui non mancano momenti esilaranti.

Blade of the Immortal è l’adattamento dell’omonimo manga di Hiroaki Samura ambientato nel Giappone feudale dello shogunato Tokugawa. È il 1700, epoca di ricchi padroni e fedeli samurai. Il film racconta la storia di Manji che, in seguito ad una lotta violenta in cui uccide quasi cento uomini di una famiglia rivale, acquista il dono dell’immortalità. Essere immortali è veramente un bene prezioso? Si chiede Takashi Miike (Yao, 1960) giunto quasi alla soglia del centesimo film, che arriva al Festival di Cannes nella sezione Fuori Concorso con una pellicola che ricorda le infinite battaglie samurai di Akira Kurosawa.

TRA IRONIA E TRADIZIONE

Takashi Miike, che alla Festa del Cinema di Roma ha presentato un film esilarante come The Mole Song, non delude mai. Anche questa volta vola in alto grazie al suo sapere mischiare generi, scene e tipologie di attori differento. “Blade of the immortal è all’altezza degli standard dei precedenti, pur essendo un film a basso budget”, dice Miike, “Ho lavorato con la Warner Bros e sono riuscito ad avere come protagonista Kimura, super star giapponese e ad affidargli un ruolo in cui fa a pezzi persone su persone e credo che questo abbia scioccato il pubblico giapponese forse un po’ troppo”. La magnificenza di Blade of the Immortal sta nel coniugare registri, colori, linguaggi visivi diversi. Miike come sempre non rinuncia alla tradizione, ai simboli e alla cultura del suo Paese. Un Paese che percepisce il cinema in maniera diversa rispetto all’Occidente. “Il Giappone è molto strano in questo senso”, continua il regista, “perché lo humor non è subito colto e le persone prima di avere una reazione, con un sorriso o una risata, si guardano intorno per vedere se anche gli altri stanno reagendo al film allo stesso modo. Il modo con cui i giapponesi sperimentano il cinema è volto a rassicurare se stessi, vogliono provare tutti lo stesso tipo di emozioni. Il cinema è un posto dove vanno per sentirsi al sicuro e tutti uguali. In Europa invece è diverso. Avete differenti opinioni rispetto a un film. Vi piace, non vi piace, ridete, non ridete, vi fa arrabbiare, lasciate la sala o protestate se non è di vostro gradimento. Amo veramente il fatto che voi guardiate veramente un film e lo sentiate così tanto!”.

LA FILMOGRAFIA DI TAKASHI MIIKE

Takashi Miike, regista sempre presente nei grandi festival ma quasi mai premiato, è poco noto al grande pubblico italiano a causa della distribuzione scarsa e poco capillare. Eppure il suo è un cinema visivamente potente e molto irriverente. A Miike bisognerebbe porre una domanda a suo modo “marzulliana”, ovvero: ci sei o ci fai? In senso buono. In senso giusto. Perché Miike è un regista che non vede bianco o nero e che quando meno te l’aspetti muta visione e direzione. “Se in un film devi girare la scena di un funerale pensi di dovere essere molto solenne, ma c’è dello humor che può nascere e insorgere da quella situazione, come una persona che improvvisamente inciampa e il quadro importante che sta tenendo in mano cade”, dice Miike. “Così non si può fare a meno di ridere anche se in una situazione triste. Io credo che dovrebbe essere sempre così. Al contrario ci potrebbe essere una situazione super felice e tutto diventa oscuro e triste all’improvviso. Entrambe le situazioni e i contesti sono reali, e un film non deve per forza finire con una grande risata. Spero che la vita che noi descriviamo nei film possa comunicare al pubblico che la loro esistenza va bene così com’è”.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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