Mostra del Cinema di Venezia. Il (non) musical di Damien Chazelle

“La La Land” di Damien Chazelle ha aperto Venezia 73, accolto con entusiasmo da critica e pubblico. Ed Emma Stone, con la sua straordinaria interpretazione, si candida alla Coppa Volpi, e forse a un Oscar. I comunicati stampa annunciavano un musical leggero e romantico. Ma è proprio così?

NON SOLO MUSICAL
Prima precisazione: La La Land non è un musical, semmai un omaggio al genere più americano e hollywoodiano che esista. E come tanti bei film usciti dagli Studios in questi ultimi anni è un tributo al cinema, una sintesi di ciò che è stato, riletto alla luce di nuove consapevolezze tecniche e narrative: un perfetto manifesto postmoderno. Accade così che la trama non è più il fulcro della messa in scena, non si entra in sala per calarsi nei panni di qualcuno, ma per assistere al palinsesto in movimento del Canone Occidentale. E per ammirarne l’apice dello sviluppo, e dunque il primo punto di declino. Due ore non bastano più per scavare nella psiche di un personaggio, in quel tempo si riesce ormai a malapena a citare qualcosa. E infatti ci hanno pensato le serie tv a saziare l’esigenza di raggiungere nuovi approdi audiovisivi.

Damien Chazelle, La La Land (2016)

Damien Chazelle, La La Land (2016)

PRIMO STRATO, LA TRAMA
Mia (Emma Stone) è la cameriera del bar interno della Warner Bros, a Hollywood. Sogna di diventare un’attrice di successo, ma l’esito dei provini sembra consigliarle il contrario. Sebastian (Ryan Gosling) è un pianista di talento, vorrebbe aprire un locale jazz, ma per mantenersi suona alle feste. Si incontrano e innamorano nel momento di massima frustrazione professionale e, sostenendosi a vicenda, riusciranno entrambi a coronare il loro sogno. Lavorativo, non sentimentale. Nessuno spoiler: i musical, si sa, hanno sempre un lieto fine.

SECONDO STRATO, LA VITA
Ma il lieto fine, oggi, nella parte occidentale dell’emisfero, pare essere la realizzazione individuale, e il gesto d’amore più grande comprendere l’altro nelle sue scelte, a costo di rinunciarvi. Questo dichiara il regista Damien Chazelle (citando Sliding Doors) in La la land. Una pellicola piena di metalinguaggio, cinema che parla di cinema, a partire dalle storie dei protagonisti e dello stesso regista, che ricalcano le dinamiche spietate di una carriera all’interno dell’industria del cinema: Emma Stone ha dichiarato di aver rivissuto il senso di umiliazione dei provini andati male. E lo stesso Chazelle, enfant prodige classe 1985 con tre premi Oscar sul microonde, dice che La La Land è il suo sogno che si realizza in seguito a un iniziale rifiuto dei produttori, ritirato fuori dal cassetto soltanto dopo i successi all’Academy.

TERZO STRATO, LA MUSICA
Ad annunciare che non si tratta di un semplice musical è proprio lo sguardo sulla musica: i momenti che ricalcano il genere spaziano dal tip tap al valzer, inserendosi in un preciso e frequentato cliché, che è simbolo di un periodo concluso della storia e del cinema, contrapposto alla contemporaneità, il cui ritratto musicale è invece la complessità del jazz. Già in Birdman (titolo in cui la Stone è protagonista, anch’esso presentato in apertura della Mostra del Cinema di due anni fa) la batteria di Antonio Sanchez era usata nella medesima chiave.
Altro rimando musicale è senza dubbio lo stile del video clip, a partire dalla scena iniziale, un ingorgo a mezzogiorno, a Los Angeles, in piena estate. L’immensa Highway sopraelevata diviene una pista da ballo con inquadrature piene di virtuosismi, una sequenza così trascinante da strappare l’applauso spontaneo della sala. Anche la scena del party in piscina cita Imitation of life dei R.E.M., ma con la musica di un altro celebre videoclip, Take on me degli A-ah.
E se perfino Spike Jonze, nell’ultimo spot della Kenzo, cita se stesso vent’anni prima (Weapon of Choise, Fatboy Slim) sostituendo la danza folle di Christopher Walken con quella da posseduta di Margaret Qualley, ciò dimostra che la differenza tra il prima e il dopo, l’originale e la citazione, è proprio il tempo trascorso, che a Hollywood significa aver maturato una tecnica talmente perfetta e consapevole da divenire spietata. E infatti, l’epoca d’oro, quella dei balli spensierati, delle coreografie senza sottotesti, la citazione del musical, insomma, è proprio il momento in cui Mia e Ben sognano la vita per ciò che potrebbe essere.

Mariagrazia Pontorno

www.labiennale.org/it/cinema/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati