The Americans. Un pezzo di Guerra fredda sul piccolo schermo

Li hanno presi poco più che ragazzi, entrambi ferocemente e ciecamente motivati al sacrificio, e li hanno sottoposti a un addestramento terrificante, costringendoli a privazioni, mortificazioni, violenze psicologiche e fisiche. Li hanno spogliati del loro nome, del loro passato e anche del loro futuro, imponendo loro nuove identità, spedendoli all’altro capo del mondo. Dietro le linee nemiche. Li hanno costretti a frequentarsi, rispettarsi, persino amarsi; ne hanno fatto marionette di carne e sangue disposte a ogni nefandezza pur di sostenere il proprio Paese. Ma la fede, a un certo punto, prende a vacillare.

Stephen King l’ha definita “la migliore serie del 2013”: prende spunto da una pagina oscura della storia recente degli Stati Uniti The Americans, lanciata via cavo da FX a gennaio 2013 (3 milioni e 200mila spettatori per il pilota, prossimo al record di rete) e prontamente arrivata in Italia – lo scorso autunno – su Fox. A ideare il plot Joe Weisberg, ex agente CIA passato alla scrittura televisiva, già al lavoro su Falling Skies e Damage, che in quest’occasione fruga nell’armadio dei “cugino” dell’FBI e rispolvera lo scheletro di un’indagine che effettivamente molto concede alla fiction. Si vociferava della presenza di spie sovietiche infiltrate nell’apparentemente innocuo tessuto sociale americano: famiglie fittizie ma in tutto e per tutto plausibili, chiamate a raccogliere informazioni il più utili possibili a sgretolare l’imperialismo a stelle e strisce.
The Americans segue la doppia vita di una di queste coppie, interpretata da una malinconica Keri Russell e da Matthew Rhys (il fratello gay di Calista Flockhart in Brothers & Sisters); progressivamente dilaniata dal senso del dovere nei confronti di una patria sempre più distante e la fascinazione per un sistema e un codice valoriale tremendamente seducenti. Partono duri e puri, si scoprono di puntata in puntata sempre più vulnerabili; un processo di crescita epifanico per i due personaggi, tessuto con sapienza lungo il duplice binario della redenzione e della dannazione. Perché non è detto che l’empatia, l’avvicinamento e l’eventuale cedimento alle lusinghe dell’Occidente siano la chiave per appropriarsi di una libertà forse irrimediabilmente perduta, nell’ormai classica confusione di ruoli tra eroe e antieroe; nel mix di lecito e illecito, possibile e irreale.

The Americans

The Americans

Costruzione intrigante per la serie, che sembra fare proprie alcune strategie narrative codificate con successo da Breaking Bad: come l’inizio in medias res e la tornitura dei personaggi affidata a frequenti incisi in forma di flashback; stratagemmi visuali improntati su un citazionismo “d’atmosfera”: la vicenda è ambientata negli primi Anni Ottanta e dunque via a certe sporcature dell’immagine che a tratti evocano l’idea del vintage, ma soprattutto ecco in alcune scelte di regia l’omaggio ai serial polizieschi vecchia scuola. Quando un’auto sfreccia e inchioda a quel modo potrà anche essere guidata da un agente del KGB, ma non sarebbe uno scandalo scoprire al volante Magnum P.I. o David Starsky.

Francesco Sala

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17

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