Hollywood do it better. Almeno quando si tratta di serie televisive

Passa dalle mani del produttore esecutivo John Wells, tra i papà di ER, la premiata edizione a stelle e strisce di “Shameless”, prodotto che Channel 4 ha lanciato per il pubblico di Sua Maestà nel 2004, arrivando oggi a metterne in circolo l'ottava stagione.

Shameless è un serial senza ritegno, spudorato, al limite del surreale; volgare in quella maniera lirica e disperata tipica dei maestri americani dell’autodistruzione: alla Bukowsky, tanto per gradire. Un serial che, nella sua traslitterazione statunitense, non poteva dunque non piacere: la seconda serie, appena chiusa su Showtime, piattaforma pay della CBS, si è avvicinata ai 5 milioni di pubblico medio; +29% rispetto alla prima; +26% per l’ultima puntata rispetto a quella della serie precedente. Già annunciata, allora, la terza stagione (in America passerà a febbraio 2013); confermatissimo un cast che si basa sul talento comico di Joan Cusack ma, soprattutto, su uno strepitoso William Macy.
Frank Gallagher ha un solo obiettivo, nella vita: bere. E ha un unico modo per raggiungerlo: faticare il meno possibile. La sua lotta quotidiana contro il Sistema è fatta di piccoli espedienti ai confini della realtà, nel costante tentativo di ottenere sussidi e assegni per un’invalidità indimostrabile. A complicare il suo pervicace corteggiamento dell’ubriachezza ci si mettono ben sei figli, a lui accreditati (non senza nefasta disinvoltura) da una moglie ormai ex. Come tale, comprensibilmente, fuori dai giochi.

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Shameless

E allora via libera a una lotta disperata per la sopravvivenza, con l’arte di arrangiarsi evoluta ai suoi massimi livelli: furtarelli e furberie, raggiri e trucchi di ogni tipo; i Gallagher sono naufraghi della società, intrufolati negli interstizi di un mondo che, per quanto complesso e ordinato, concede inattesi e inspiegabili cortocircuiti burocratici e legali. Non c’è una sola ragione al mondo per cui questa gente riesca a farcela. Eppure lo fa. Eccolo allora il mito americano, la parodia di un self-helpismo distorto e malato; ribaltato come un calzino – sporco – abbandonato sul tappeto. Sono lupi, i Gallagher: un branco terribile ma solidale, insieme tenero e feroce; capace di slanci romantici (pochi) e crudeltà indicibili (tante). L’ironia di dialoghi alla Tarantino e la costruzione di scene dal contenuto comico irresistibile non nascondono l’amarezza per la nascita dei super eroi post-crisi: a diventare eccezionale, oggi, è il solo e puro fatto di esistere.

Francesco Sala 

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7

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