BilBOlbul. Il fumetto è protagonista a Bologna

Da festival a laboratorio permanente sul fumetto a Bologna, BilBOlbul, dopo gli incontri, i convegni e i workshop di novembre, ha ampliato il suo cartellone. Ne abbiamo parlato con Emilio Varrà, uno dei fondatori di Hamelin, l’associazione che dirige la rassegna.

Ha compiuto già dieci anni il festival del fumetto di Bologna BilBOlbul, e all’undicesima edizione, ha deciso di cambiare format.
C’è sempre al centro l’arte sequenziale, autoriale, ma mentre il primo decennio si è concentrato sulla forma graphic novel, questo secondo decennio si apre all’intersezione tra poesia visiva, arte più classicamente intesa e forma narrativa per immagini. Lo testimoniano due delle mostre più importanti, quella dedicata a Lambé, alla Pinacoteca Nazionale, e quella dedicata alla ricerca artistica giovanile di uno dei disegnatori italiani più accreditati nel mondo del collezionismo, ovvero Mattotti, all’Accademia di Belle Arti. Cambia anche la visione temporale del festival, non più concentrato nell’esplosione delle tre giornate di novembre, ma esteso durante l’arco dell’anno, in una sorta di cartellone latente, trasversale e continuo.

QUANDO COFFERATI ERA UN FUMETTO

È una mutazione che peraltro è comprensibile, visti i tempi cambiati: BilBOlbul fu ideata quando il sindaco Cofferati organizzava la campagna elettorale a suon di fumetti, e utilizzò il tratto di molti autori (in particolare Vittorio Giardino) per presentarsi ai cittadini. Ancora sembrava una segno di rottura la scelta della linea chiara (intesa come stile grafico) per presentarsi alla città, e il fumetto era ancora l’ancella povera delle arti. La graphic novel sembrava ancora un esotismo della forma fumetto, un oggetto che non si sapeva dove e se collocare in libreria, insomma parliamo di un clima culturale diverso. Sicuramente l’esistenza del corso di Fumetto dell’Accademia di Bologna, oggi uno dei più gettonati della scuola locale e un unicum a livello nazionale, ha determinato un cambio anche di pubblico e di produzione. Hamelin, l’associazione che dirige il festival, ha avuto un ruolo cruciale nella costruzione anche della parte formativa del curriculum accademico. Abbiamo quindi intervistato Emilio Varrà che, oltre a insegnare Archetipi dell’immaginario in Accademia, è uno dei fondatori di Hamelin, per cercare di capire quali sono le tematiche, gli snodi e le sfide che vogliono intraprendere, giunti a questo giro di boa.

Fabio Tonetto, Rufolo

Fabio Tonetto, Rufolo

Hamelin si concentra anche sul comico… È un aspetto che emerge dalla programmazione di quest’anno, avete abbandonato il vostro lato dark?
Se vedi la mostra di Jacovitti, capisci che la risposta è no. Rimane sempre la ricerca sull’incongruità della comicità, che è al centro di questo sempre ampio percorso espositivo. Il comico ci interessa, certo: ad esempio la mostra di Tonetto è comica sì, ma sostanzialmente surreale, non provoca una risata che seppellisce. È interessante indagare come tutta la dimensione del comico, con la piattaforma del web, cambi anche le forme, prediligendo di nuovo la forma breve. Oltre al fatto che il comico ti costringe sempre a riflettere sul linguaggio, che è poi il centro della nostra indagine. Poi c’è l’altro versante, quello del fumetto/poesia: composizioni, forme, accostamenti analogici. Come la mostra di Lambé, autore che è difficile incasellare nell’ambito del semplice fumetto e che si ispira esplicitamente al disegnatore spagnolo Raùl.

Urca, invece, è un’altra novità: l’inserzione di un festival nel festival, che riprende poi in realtà le vostre stesse modalità concentrandosi sulle autoproduzioni, rigorosamente senza spazio mercato. Perché è nato?
Delebile, il collettivo che lo cura, voleva già fare un festival sulle autoproduzioni, non solo perché loro lo sono, ma proprio perché è un campo di ricerca a loro particolarmente caro. Noi d’altra parte non avevamo più nessuno che si occupasse di questo aspetto, di fatto è in linea di continuità con Bbzine, che c’era fino all’anno scorso, solo che la programmazione è totalmente autonoma.

Quale immagine emerge dell’area autoproduzione oggi? È ancora uno spazio di ricerca di forme non ammesse, o piuttosto è una sorta di palestra in attesa della pubblicazione da parte di una casa editrice?
Dal mio osservatorio posso dire che la scelta ideologica è ora del 15% sul totale delle autoproduzioni, chiamiamole antagoniste per capirci, ma non per forza politiche. Ormai oggi hai i mezzi per produrre da solo un prodotto editoriale bello, guadagni di più, molti collettivi dicono: perché non farlo? Non c’è alcuna esitazione poi se l’editoria “vera” ti richiama: non lo dico con polemica, è solo l’atteggiamento che osservo. Il rischio che vedo è, da una parte, una deriva cartolibraria, una sovrapproduzione di carta per la carta, dall’altra il fatto che non c’è un lavoro di editing. Ma oggi è un limite anche nell’editoria tradizionale.

Disa Wallander

Disa Wallander

Il vostro è già un sistema stellare, che comprende didattica, festival, ricerca. L’idea di un festival spalmato su tutto l’anno non è a rischio di minore intensità?
Sicuramente abbiamo capito cosa non volevamo fare, 40 mostre, 10 incontri in un giorno. Non c’è bisogno di 70 presentazioni in 10 giorni, e poi Bologna non ne ha necessità. C’è già un cartellone molto ricco di occasioni. Ci piace mantenere il festival sui temi di ricerca: poesia, comico, l’intersezione anche con la musica, come il progetto di Stefano Ricci, a cavallo tra improvvisazione grafica e musicale. Ma vogliamo anche puntare molto sulla formazione. Il tempo ci dirà se questa svolta è quella necessaria.

Bologna capitale del fumetto, questo era stato il vostro slogan. Ora però per l’aspetto editoriale le cose sembrano cambiate: le case editrici bolognesi o sono emigrate o sono diventate altro. Sopravvive qualche mohicano. Cosa significa per Bologna?
È successo che da una parte c’è stata un’anticipazione prima che ci fosse un oggetto in libreria. È stato come una sorta di esperimento in anteprima. Le realtà che hanno fatto questo lavoro da apripista erano fragili, anche strutturalmente, ma forse erano anche solo troppo avanti. La sensazione che si ha è che si sia in una città ricca per formarsi, non solo per l’Accademia. Gruppi che lavorano insieme, studi grafici in coworking, ma molti sono costretti ad andare via. È un trampolino di lancio che ti porta però in altri luoghi.

Sicuramente per chi ha tempo e gambe vale la pena il giro delle mostre bolognesi. Numerose e diverse, unite da una grande attenzione curatoriale. E se proprio non ce la fate in questi mesi, sappiate che il programma copre tutto l’anno.

Elettra Stamboulis

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Elettra Stamboulis

Elettra Stamboulis

Scrittrice e curatrice indipendente. Laureata in Lettere all'Università di Roma “La Sapienza”, ha perfezionato i propri studi sulla museografia all'Istituto Albe Steiner di Ravenna. Ha conseguito un Master di secondo livello all'Università di Roma Tre. Collabora con numerose testate (Linus,…

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