Un manager all’HangarBicocca. Intervista con Marco Lanata

HangarBicocca è un modello di gestione unico in Italia che sta contribuendo a far diventare Milano un punto di riferimento internazionale dell’arte contemporanea. Abbiamo incontrato il suo general manager, Marco Lanata.

Architetto, con una solida esperienza nel settore immobiliare delle costruzioni, Marco Lanata ha partecipato alla riconversione dell’edificio industriale Pirelli HangarBicocca in spazio espositivo, nell’ambito del ripensamento di un’intera area di Milano. Oggi è general manager dell’istituzione e ha obiettivi precisi: diversificare le attività di HangarBicocca per divulgare l’arte contemporanea a un bacino d’utenza più vasto, creare solide relazioni con altre importanti istituzioni cittadine e, a lungo termine, traghettare la fondazione verso una maggiore autonomia economica rispetto all’ingente supporto economico di Pirelli. In programma: un catalogo sui Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer e una comunicazione social d’impatto con tanto di hashtag #ArtToThePeople… meno rivoluzionario di People Have the Power di Patti Smith ma altrettanto ottimista.
Lo abbiamo incontrato alla vigilia di un suo intervento all’International Cultural Forum di San Pietroburgo, dove il 3 dicembre parlerà di HangarBicocca: museumification of industrial space.

Cominciamo dal suo background.
Ho lavorato prevalentemente nel settore immobiliare delle costruzioni. A parte questi ultimi anni, durante i quali ho lavorato nella gestione del patrimonio immobiliare della Pirelli, mi sono occupato in particolare di grandi operazioni di sviluppo immobiliare: per alcuni anni di CityLife a Milano, nell’area della fiera, della riconversione delle aree in Bicocca e dell’avvio di riconversione dell’edificio industriale di HangarBicocca.

Avere un manager all’interno di un’istituzione culturale è piuttosto raro. Questo fa di HangarBicocca un modello unico, almeno in Italia.
In Italia è sicuramente un modello innovativo e unico. Di primo acchito potremmo essere avvicinati ad altre fondazioni che sono supportare da privati sia in Italia che all’estero. Mi vengono in mente la Fondazione Prada o la Fondazione Louis Vuitton. Con queste istituzioni c’è una similitudine nell’impegno da parte di un privato nel supportare iniziative culturali.
Viceversa, abbiamo delle caratteristiche che ci differenziano molto, non solo per una gestione manageriale, ma anche per il fatto di avere forti connessioni col territorio, come i vari programmi che sviluppiamo: i laboratori per i bambini, il public program e una forte missione da parte di HangarBicocca verso la diffusione dell’arte contemporanea. Da qui anche l’attenzione che poniamo sui mediatori culturali, sull’informazione per i visitatori.

Juan Muñoz, Hangar Bicocca, Milano

Juan Muñoz, HangarBicocca, Milano

E sul piano curatoriale?
Abbiamo un programma sviluppato da Vicente Todolí e dal nostro dipartimento curatoriale che potremmo definire molto sperimentale, di cui la gran parte delle installazioni sono site-specific. Produciamo le opere non per una nostra acquisizione, ma nella logica di incentivare un’attività di sviluppo nel mondo dell’arte contemporanea. Non abbiamo una collezione permanente, a meno che non intendiamo per collezione i Sette Palazzi Celesti di Kiefer. Per questo forse siamo più assimilabili a realtà al di fuori dell’Italia. Ad esempio, al New Museum, alla Dia Art Foundation di New York, alla Serpentine di Londra o al Wiels di Bruxelles.

Il New Museum però ha un biglietto d’ingresso di 16 dollari, il Wiels di 10 euro…
Noi abbiamo la gratuità ed è uno dei valori che si riconnette alla nostra missione di diffusione in Italia dell’arte contemporanea. Stiamo facendo un piano di comunicazione innovativo. Abbiamo creato l’hashtag #ArtToThePeople e una serie di slogan come per la mostra di Kishio Suga, “l’arte parla terra terra”. Una comunicazione diversa che cerca di allargare il bacino d’utenza. E guardando le statistiche siamo molto contenti, perché tra i nostri visitatori la componente dei giovani è continuamente in crescita. Più de 55% dei visitatori è sotto i 45 anni. Rispetto al 2015 abbiamo più che raddoppiato e quest’anno abbiamo superato i 200mila. Senza mai fare concessioni sul profilo della programmazione artistica.

Tornando al suo ruolo, quali sono i punti di forza di avere un manager? Su cosa agisce? Sui costi, sulle statistiche, sui piani di comunicazione…
Il punto di forza di avere una struttura manageriale – che su alcune cose è integrata all’organizzazione di Pirelli che, oltre al supporto economico, fornisce un supporto operativo – è quello di far sì che il direttore artistico e il suo dipartimento siano concentrati sull’attività curatoriale, in totale autonomia e indipendenza, grazie a una committenza liberale.

In sintesi lei fa la parte più noiosa.
Esattamente… [sorride, N.d.R.]

Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti - Milano, Hangar Bicocca

Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti – Milano, HangarBicocca

Gestione del bilancio, delle persone, organizzazione, comunicazione, gestione di controllo.
Una parte è sicuramente questa… Il fatto di avere qualcuno che proviene da un’esperienza professionale diversa può dare anche un contributo ad azioni finalizzate, come dicevamo prima, alla divulgazione o al rapporto col territorio. Creare ad esempio una rete di rapporti forti su Milano con altre istituzioni, che sia la Triennale o Brera o Milano Musica… Non mi faccia passare solamente per quello che controlla i costi, i tempi e l’organizzazione delle persone.

Diciamo che, in termini spiccioli, una mostra poi va “venduta”, bisogna promuoverla con nuove forme di comunicazione e incrementare il numero di visitatori. Questo non dovrebbe essere il compito di un direttore artistico, ma di un manager.
Ci sono degli elementi, dei valori, dei metodi che possono essere portati dal mondo manageriale dell’industria anche in una realtà come HangarBicocca. Abbiamo degli obiettivi come Pirelli e come istituzione a medio e lungo termine. Far sì che l’investimento rilevante di Pirelli abbia un ritorno in termini di comunicazione e di reputazione. L’obiettivo è anche quello di rendere più autonoma quest’istituzione rispetto al supporto di Pirelli, arrivando ad autofinanziarsi maggiormente. Da questo punto di vista siamo in una fase di start up.

Passerei ora ai numeri e a un bilancio di HangarBicocca fino a oggi. Ricordo che all’inizio l’integrazione dello spazio con il territorio e con la città è stata piuttosto difficoltosa. HangarBicocca era considerata una realtà periferica, in termini di collocazione, poco collegata col centro. Poi ricordo che c’è stato uno scarto con l’installazione di Tomás Saraceno, che ebbe una risposta straordinaria. Da lì è cambiata la percezione, non era più uno spazio così lontano, periferico o considerato un museo aziendale, ma uno spazio espositivo all’avanguardia da frequentare.
L’intervento di Saraceno ha rappresentato una punta di visitatori rilevante. Il trend è in crescita e ha accelerato molto in quest’ultimo anno. Abbiamo fatto degli sforzi su diversi fronti: abbiamo cercato di allargare la maglia di coloro che ci possono conoscere attraverso iniziative diverse – dai concerti ai festival estivi al public program. Un tentativo di parlare con mondi diversi da quelli che sono gli abituali visitatori di un luogo d’arte contemporanea. Dall’altro, il fatto di avere un’istituzione museo piacevole dove si va perché ci si sta volentieri.

Budget?
Diciamo che l’investimento di Pirelli è rilevante. Ci diamo degli obiettivi, dei budget che vogliamo rispettare. La programmazione ha sempre una sua intensità. Facciamo quattro mostre l’anno.

Più o meno di 2 milioni di euro l’anno?
Un po’ meno del doppio: 3,5.

Tomás Saraceno – On Space Time Foam – 2012 – Hangar Bicocca

Tomás Saraceno – On Space Time Foam – 2012 – HangarBicocca

Tornei al tema della collezione. Siete partiti con un’installazione ambiziosa e straordinaria, una sorta di Cappella Sistina del contemporaneo dal valore inestimabile. Pirelli, così come fanno altre realtà private, non ha mai pensato, anche in termini prettamente economici e di vantaggi, di acquisire le opere che in molti casi produce?
Non è nel nostro Dna far produrre opere per poi acquisirle in una nostra collezione permanente. Per quanto riguarda Kiefer, è stato lui stesso, quando è tornato dopo molti anni, nel 2014, a proporci di completare la sua opera con l’installazione di alcuni quadri che sono stati dati in prestito alla Fondazione Pirelli. Siamo consapevoli della rilevanza dell’opera di Kiefer e uno degli obiettivi della comunicazione è farla conoscere maggiormente. Stiamo predisponendo un catalogo che era richiestissimo.

Vorrei parlare di HangarBicocca in rapporto alla città di Milano. Come si colloca rispetto a tutta una serie di attività cittadine come il Fuori Salone, Book City…?
Sottolinea un punto per noi rilevante. È un’opportunità che cercheremo di cogliere. L’arte contemporanea per la città di Milano sta diventando, mi lasci passare il termine, un asset, così come lo sono già la moda o il design. Milano può diventare un punto di riferimento per l’arte contemporanea a livello internazionale.

Sta già succedendo.
Sì. Stiamo lavorando a un’analisi da portare al sindaco per far capire, da un lato, cosa possa significare la movimentazione economica che può portare l’arte contemporanea e le ricadute sulla città, dall’altro, per far capire anche come altre città come Londra, New York o Berlino, si siano mosse per far sì che queste potenzialità venissero espresse e sfruttate al meglio.
Siamo convinti di aver svolto un ruolo importante in questi ultimi anni, alimentando questo processo che porta Milano a essere un punto di riferimento. Pensiamo che possa essere fatto di più. È importante istituire relazioni con altre realtà milanesi.

Lei sta partendo per San Pietroburgo per partecipare all’International Cultural Forum. Porta all’estero il modello HangarBicocca?
Al forum culturale mi hanno chiesto di fare un intervento su una tematica molto specifica: la riconversione di un edificio industriale in un museo.

E qui va a nozze.
Sì, qui sono nel mio… [sorride, N.d.R.]. Tenderò a evidenziare due aspetti. Il primo è che la riconversione di quest’edificio è nata all’interno di un’operazione molto più ampia ovvero il ripensamento di una parte di città. Il secondo è che nel nostro caso non abbiamo incaricato un’archistar che facesse un progetto, abbiamo avuto diversi progettisti che si sono alternati, perché la linea molto forte era caratterizzata dalla qualità delle caratteristiche dell’edificio e di cosa avrebbe poi contenuto. Può sembrare banale, ma non è mai così scontato.

Daniele Perra

www.hangarbicocca.org
www.culturalforum.ru

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Daniele Perra

Daniele Perra

Daniele Perra è giornalista, critico, curatore e consulente strategico per la comunicazione. Collabora con "ICON DESIGN", “GQ Italia”, “ULISSE, "SOLAR" ed è docente allo IED di Milano. È stato fondatore e condirettore di “unFLOP paper” e collaboratore di numerose testate…

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