Hyperbuilding. La città mancata di OMA a Bangkok

Ideata per essere una città autosufficiente, capace di accogliere 120mila persone nella capitale thailandese Bangkok, Hyperbulding porta la firma di Rem Koolhaas e del suo celebre studio. Ma non ha mai trovato spazio nella realtà.

DALLA CASA ALLA CITTÀ
Sono trascorsi esattamente vent’anni da quando il Premio Pritzker Rem Koolhaas sviluppò Hyperbuilding, progetto teorico concepito per Bangkok. In quel periodo l’architetto olandese, già vincitore del Prix d’Architecture per Villa dall’Ava a Parigi, era all’opera su un’altra abitazione-manifesto degli Anni Novanta: la Maison à Bordeaux. Realizzata per essere un “nuovo mondo” privo di barriere per il facoltoso proprietario – un membro della famiglia di editori Lemoine, costretto su una sedia a rotelle in seguito a un incidente – la casa conquistò i media per l’inserimento di una piattaforma mobile sui tre piani dell’edificio; un espediente scelto in nome della piena mobilità in altezza.

BANGKOK IN IPER-SCALA
Misurandosi con una scala smodatamente maggiore, nel 1996 Koolhaas e il suo studio OMA elaborano per la capitale thailandese una città autosufficiente per 120mila persone – Hyperbuilding – stringendo un rapporto di reciproco sostegno e integrazione tra i sistemi architettonico, tecnologico e urbanistico. La complessa costruzione avrebbe dovuto rispondere a due delle questioni allora più urgenti nella metropoli asiatica: la dipendenza dal pendolarismo e l’inadeguatezza abitativa. Oltre alla necessità di arginarle in modo credibile – entrambe erano conseguenza della drastica modernizzazione del Paese – Bangkok offriva a Koolhaas il terreno ideale per mettersi alla prova con un contesto convulso, ma meno stratificato delle metropoli del Giappone o dagli Stati Uniti: la città “giusta” per calcare la mano con un’ambiziosa quanto visionaria iper-scala.

Rem Koolhaas, Hyperbuilding - photo Hans Werlemann - courtesy of OMA

Rem Koolhaas, Hyperbuilding – photo Hans Werlemann – courtesy of OMA

UN PROGETTO MAI REALIZZATO
Pur non scollegata dalle dinamiche urbane limitrofe, Hyperbuilding si sarebbe impiantata come un’entità autonoma sulla riva occidentale del fiume Chao Phraya. Il suo nucleo principale avrebbe attinto metaforicamente alla città tradizionale: le torri sarebbero state le strade, con ascensori a diversa velocità; gli elementi orizzontali si sarebbero qualificati come parchi; i volumi avrebbero rappresentano i distretti funzionali; le linee diagonali, i viali sui quali si sarebbero impiantate funivie e cabinovie.
Rimasto puro esperimento, Hyperbuilding nel 2006 è stato riadattato nel Louisville Museum Plaza, la megastruttura di Joshua Prince-Ramus che avrebbe dovuto ospitare un museo d’arte contemporanea, ristoranti, hotel, 85 appartamenti di lusso e 150 loft; quest’ultimo progetto è stato però abbandonato nel 2011. E Bangkok? Probabilmente, dall’alto dell’incompiuto grattacielo MahaNakhon, disegnato da Ole Scheeren di OMA, il traffico urbano potrebbe apparire ancor più nevrotico che negli Anni Novanta.

Valentina Silvestrini

www.oma.eu

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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