La storia dell’architettura secondo Joseph Rykwert

Emigrato da Varsavia negli Anni Trenta, membro dell’Accademia di San Luca, della Polish Academy e dell’Academia Europea, Joseph Rykwert è stato invitato nella Capitale dalla British School at Rome. In quell’occasione lo abbiamo incontrato, ripercorrendo la sua carriera come storico dell'architettura, coronata anche dalla laurea ad honorem conferita dall’Università di Bologna. Pochi giorno dopo il suo 90esimo compleanno.

La conversazione Memory and Responsibility nella British School at Rome, tra Miroslaw Balka e Joseph Rykwert, ha concluso la personale di Balka Emplacement, il settimo evento del ciclo di conferenze e mostre Meeting Architecture: Fragments, curato da Marina Engel. In una conversazione moderata da Pippo Ciorra, i due polacchi hanno condiviso idee e pensieri sull’importanza della creazione artistica e sulle responsabilità degli artisti e degli architetti dei nostri tempi. La conversazione ha preso spunto dalle opere di Balka, nelle quali si ritrovano gli spazi architettonici moderni, per poi proseguire verso la “fine del nuovo capitalismo” raccontata da Rykwert. Il disaccordo tra le due personalità è nato durante l’analisi dell’ambigua distinzione tra “astrattismo” e “realismo” di Marcel Duchamp. L’ospite speciale, Joseph Rykwert, – nato a Varsavia nel 1926 ed emigrato in Inghilterra nel 1939 – è uno dei più importanti storici di architettura della città. Scrittore e professore in diverse università americane, il 6 maggio ha ricevuto la laurea ad honorem in pedagogia dall’Università di Bologna.

Come è nata la sua passione per l’architettura e quando ha capito che voleva diventare un esperto del settore?
È successo tantissimi anni fa in Polonia! Mi ricordo un momento particolare: avevano appena iniziato la costruzione della nostra casa a Otwock, io ero un bambino e con grande interesse seguivo i lavori. I muratori erano molto gentili e volentieri parlavano dei loro impegni professionali. Così io li andavo spesso ad ascoltare e, guardando i progressi dei lavori, nella mia testa immaginavo come un mucchio di mattoni potesse un giorno trasformarsi in una forma compiuta. In seguito, ho iniziato a notare l’architettura intorno alla mia abitazione, a sognare le città e piano piano la passione cresceva.

Miroslaw Balka e Joseph Rykwert alla British School at Rome – photo Antonio Palmieri

Miroslaw Balka e Joseph Rykwert alla British School at Rome – photo Antonio Palmieri

Ha lasciato la Polonia quando era molto giovane, nel 1939. Come era e come è cambiato adesso l’aspetto architettonico del Paese?
Non torno in Polonia da 4-5 anni e non posso parlare delle ultime costruzioni. Ma mi ricordo bene come è cambiata la mia casa a Otwock progettata da Lucjan Korngold, autore del primo grattacielo a São Paulo. Sono tornato a Otwock qualche volta con l’artista Miroslaw Balka e ho notato che la struttura è stata trasformata in una casa d’accoglienza per orfani. Hanno aggiunto un altro piano e il tutto non ha un bell’aspetto. È abbastanza sgradevole.

Secondo lei quanto è importante, per la percezione dello spettatore, il contesto in cui insiste l’opera architettonica e opera d’arte? Consideriamo, ad esempio, Roma: nella città-museo, intorno a bellissime opere storiche, si vedono ambienti degradati, trascurati. Anche l’opera Modulor di Miroslaw Balka, vista la sua particolarità, praticamente potrebbe essere realizzata ovunque, perfino sul trenino della metropolitana.
Bisogna imparare a ignorare il contesto, sia nell’architettura sia nell’arte. Ci sono addirittura strutture contemporanee che da sole stanno danneggiando il loro contesto. Prendiamo ad esempio i grattacieli o i centri commerciali, costruzioni veramente inutili che divorano le città, trasformando lo spazio intorno a loro in enormi e antiestetici parcheggi.

Miroslaw Balka e Joseph Rykwert alla British School at Rome – photo Antonio Palmieri

Miroslaw Balka e Joseph Rykwert alla British School at Rome – photo Antonio Palmieri

Alla sua personale a Roma Tony Cragg, osservando attentamente l’equilibrio delle sue sculture di vetro, ha affermato che esiste una grande differenza tra l’architetto e l’artista: “Il primo pensa all’aspetto tecnico delle sue opere, il secondo le crea solo”. Lei è d’accordo con questa distinzione?
No, non sono d’accordo. Ma in questi tempi tutto cambia molto velocemente. Non si può dare una risposta universale valida per tutti i lavori degli artisti e architetti contemporanei.

Quali sono i suoi sogni ancora da realizzare?
Ho 90 anni! Adesso i progetti non sono tanti! Eppure alcuni ci sono e vedremo come realizzarli. Per adesso preferisco non dire altro.

Anita Kwestorowska

www.bsr.ac.uk

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Anita Kwestorowska

Anita Kwestorowska

Anita Kwestorowska, nata a Danzica, è giornalista dal 2007 iscritta nell’albo internazionale European Federation of Journalists IFJ a Bruxelles e dal 2005 nell’albo nazionale polacco SDP a Varsavia. Specializzata nei settori arte, moda e società, ha studiato filologia polacca presso…

Scopri di più