Mousse compie dieci anni. Parola a Edoardo Bonaspetti

Ieri è stata Lucia Spadano a raccontare i suoi quarant’anni in Segno. Oggi un altro direttore e fondatore, Edoardo Bonaspetti, racconta il primo decennio di Mousse. Che è una rivista, una casa editrice e anche una agency.

Ci racconti come è nato il progetto Mousse Magazine? Era il 2006, un momento interessante per il mondo delle freepress in Italia: ce n’erano pochissime, era un campo da esplorare…
L’idea è nata durante Untitled, una mostra dedicata a giovani artisti italiani che avevo co-curato a Milano. Erano i miei primi passi nel mondo delle arti visive e avevo fatto molta ricerca; data la mia formazione in giornalismo, il passo successivo verso un progetto editoriale è stato breve. Il freepress era una soluzione d’incontro tra costi di produzione ragionevoli, un veloce ingresso nel settore e questioni di visibilità. Ricordo che al tempo già Nero ed Exibart si muovevano in quella direzione.

Tanti osservatori dissero che Mousse era la versione contemporanea di Flash Art, mentre Exibart era la versione contemporanea del Giornale dell’Arte – guardando ai linguaggi, al taglio, al tipo di lettore a cui si rivolgono. È una lettura che ti trova d’accordo? 
Non molto. Flash Art ha una distribuzione differente e due versioni: Italia e International. Certo i format sono simili, interviste e approfondimenti tematici, ma le identità visive e le linee editoriali non si assomigliavano: la nostra più centrata sul contemporaneo e su una lettura che corrispondeva ai nostri gusti e alla nostra visione delle cose… Poi non dimentichiamo Tema Celeste che, al tempo, spingeva su una grafica più curata. Quelli che proponi sono parallelismi interessanti, ma sono più importanti i distinguo.

Domanda da un milione di dollari: qual è la funzione di una rivista d’arte contemporanea oggi? 
Bella domanda! Magari dovremmo prima chiederci qual è il ruolo dell’arte contemporanea oggi. Le riviste vengono dopo gli artisti e le loro ricerche. Il panorama generale è cambiato molto in questi ultimi anni e i progetti editoriali si devono adeguare ai nuovi scenari, ma informazione e interpretazioni saranno sempre necessari.

La storia dell'editoria periodica d'arte in Italia - (c) Artribune Magazine

La storia dell’editoria periodica d’arte in Italia – (c) Artribune Magazine

Alla rivista hai affiancato con sempre maggiore insistenza la casa editrice, che ora è fra le più interessanti d’Europa, almeno. C’era l’idea sin dall’inizio? Se dovessi brutalmente dividere magazine e casa editrice in percentuale, cosa ti piace fare di più? Non mi dire fifty/fifty!
Sì, la casa editrice sta andando molto bene e, come sai, riviste e pubblicazioni sono un po’ due facce di una stessa medaglia. I referenti e i collaboratori sono i medesimi – artisti, istituzioni, critici, curatori – e in gran parte anche i lettori. Avendo uno studio grafico interno che si occupava della rivista, l’idea ci ha subito appassionato e si è creata sinergia tra i due dipartimenti. Davvero non so cosa mi piace di più. Del magazine amo la velocità e la flessibilità, mentre del publishing prediligo la profondità della ricerca. Concedimi un thirty/thirty – il restante 40% è speso invece sugli altri progetti ai quali lavoro.

Una delle vostre particolarità è un uso del web e dei social molto poco “informativo”, per così dire. Il sito soprattutto, a parte le immancabili sezioni di e-commerce e servizio, sembra quasi un progetto a sé – penso in particolare a Vdrome.
Stiamo lavorando a un nuovo sito che lanceremo il prossimo autunno. In generale, mi piacciono progetti che abbiano un compito chiaro, senza dispersioni d’informazione, e Vdrome ne è un esempio. L’idea alla base è semplicissima: un cinema online gratuito in cui vedere film d’artista introdotti da un testo o un’intervista, un po’ come si faceva in passato nei cinema d’essai. Il calendario è curato assieme ad Andrea Lissoni, Jens Hoffmann e Filipa Ramos. Si digita vdrome.org e si guarda. Se poi ci s’iscrive alla newsletter, si è aggiornati su ogni nuova proiezione. Semplice.

Infine c’è un settore che forse è meno noto, che è quello agency. È un’entità dotata di una certa autonomia? Sicuramente gli appassionati hanno visto il lavoro che avete fatto a livello di immagine coordinata con miart. Ma ci racconti anche di altri lavori di questo genere?
Dovremmo comunicare di più il lavoro dell’agency. Potemmo definirla la terza anima di Mousse, con cui sviluppiamo campagne di comunicazione, immagini coordinate e siti per istituzioni, gallerie e fiere. Lavoriamo per miart ma anche per Independent, per cui abbiamo realizzato il sito, l’identità visiva e il catalogo. Sono diversi i lavori. Ora ci stiamo occupando delle Biennale de l’Image en Mouvement di Ginevra che aprirà a novembre e gestendo i progetti per alcuni padiglioni alla prossima Biennale di Venezia. È chiaro che avere un unico referente per una pubblicazione, un sito e un’immagine coordinata semplifica il lavoro per tutti.

Parliamo dello staff e dell’organizzazione. Come siete strutturati? Quanti siete? Come lavorate?
Siamo circa una ventina in studio, suddivisi tra magazine, casa editrice e agenzia. Col tempo ci siamo specializzati nei rispettivi ambiti di competenza, ma c’è un’intensa comunicazione tra tutti.

L'immagine di miart progettata da Mousse Agency

L’immagine di miart progettata da Mousse Agency

Lavorate molto anche all’estero. Immagino anche per la difficoltà di far funzionare economicamente un progetto così restando solo in Italia. Se ti chiedessi di citare una criticità e d’altra parte un momento di particolare soddisfazione?
Lavoriamo principalmente all’estero, quello dell’arte è un sistema dai confini estremamente permeabili. Le criticità possono essere la competizione in alcuni mercati lontani geograficamente. È chiaro che a Los Angeles o in Asia sia più complicato farsi assegnare un progetto o distribuire una pubblicazione, ma spesso ce la facciamo ed è una grande soddisfazione.

Un tuo giudizio sul panorama dei periodici d’arte in Italia. Non ci sono forse troppe riviste? Oppure questa è una ricchezza, di punti di vista anche, da coltivare?
Sì, ce ne sono tante, ed è un’anomalia rispetto al sistema internazionale, ma non per l’Italia che è storicamente ricca di riviste, e non solo d’arte ma anche d’architettura e design. È naturale che poi il sistema crei una competizione di risorse, ma entro certi limiti è un incentivo sano per articolare l’offerta e specializzarsi. Poi mi dispiace sempre quando chiude una rivista: ad esempio quando Nero ha deciso di proseguire con la casa editrice e l’online, abbandonando il cartaceo, cui ero molto affezionato.

Se dovessi citare due o tre riviste al massimo che ti hanno ispirato, non necessariamente italiane?
Artforum, Parkett, Purple, Afterall e Avalanche. Ok, sono molto più di quante me ne hai chieste!

Chiudiamo con una domanda più personale, nel senso che Mousse non è coinvolta direttamente: la tua direzione artistica alla Triennale di Milano. Come sta andando? 
Mi piace lavorare per la Triennale, sviluppo progetti specifici e ogni volta con un curatore italiano diverso. Dopo Ennesima di Vincenzo de Bellis, sto lavorando alla programmazione autunnale: ai primi di ottobre apriremo la stagione con una personale di Marc Camille Chaimowicz in contemporanea con la Serpentine di Londra; seguiranno Jos de Gruyter & Harald Thys, Ben Rivers, Christopher Williams e alcune mostre collettive tra cui un progetto speciale a ridosso della Biennale di Venezia.

Marco Enrico Giacomelli

www.moussepublishing.com
www.vdrome.org

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #32

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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