City eject. L’editoriale di Marcello Faletra

Diceva un grande architetto come Frank Lloyd Wright che una qualunque grande città è come un tumore fibroso. Ma la colpa non sarà mica proprio degli architetti?

In The Living City (1938) Frank Lloyd Wright osservava: “Guardare lo spaccato della pianta di una qualunque grande città è come guardare la sezione di un tumore fibroso”. Metafora o realtà, oggi le città sono presagi di morte. Città morte”, infatti, le chiama Mike Davis. Ma sono anche città-museo, secondo Marc Augé, di cui le mega-architetture (alla Calatrava o alla Jean Nouvel, per fare solo due nomi) sono l’escrescenza quantitativa.
Queste architetture-giocattolo non sono più la spiegazione della storia. Non rappresentano un popolo o una nazione. Sono la forma che assume il denaro nella sua veste globale. L’estetica, qui, è soltanto un involucro, mero packaging. Tutte le city sono uguali, come gli sportelli bancari. Un’isteria di grandezza segna la forma delle metropoli. Visioni puramente quantitative e capricciose dello spazio. E dove c’è quantità, c’è denaro a palate. In un’intervista, il subcomandante Marcos osserva: “Al Capone o la mafia tradizionale sono buoni per i romanzi o per il cinema. I veri criminali di oggi portano la cravatta, si vestono Armani e lavorano in uffici arredati da illustri designer in palazzi firmati dai più grandi architetti”. Queste metropoli griffate non sono la localizzazione del nomos teorizzato da Carl Schmitt, o l’interieur di Benjamin, ridotto a souvenir. Nessuno è più a casa propria nella sua città, dove il tempo borsistico ha preso in ostaggio il tempo sociale.

Il subcomandante Marcos

Il subcomandante Marcos

D’altra parte, dall’insicurezza del territorio all’insicurezza della storia il passo è breve. Il rigurgito dei nazionalismi si origina anche da queste incertezze. E l’instabilità, derivata dal fatto di non appartenere a nulla, è funzionale a una logica del dominio. Al tempo collettivo delle città del passato, tempo inclusivo che prolunga il passato nel presente, si è passati alla temporaneità esclusiva d’oggi: una rimozione perenne del passato. Città-feticcio, città-schermo, città-gadget. Il progetto di una città hi-tech, videosorvegliata, esternalizzata nelle sue funzioni, ha fatto di noi abitanti senza fissa memoria, dove l’astrazione della potenza economica formalizza il vuoto che divide gli individui (robotizzati, nevrotizzati, deumanizzati).

Frank Lloyd Wright, Guggenheim Museum, New York 1959

Frank Lloyd Wright, Guggenheim Museum, New York 1959

La metropoli è così una promessa di rovina, produzione a catena di infelicità, depressione, insoddisfazione. La metropoli che adotta il modello offshore non ha tempo per il comune, conosce solo il profitto, che non è una categoria dello spirito, ma un fatto privato. È una forma globale dell’ansia e della rapina. Per conoscere meglio questa deriva delle metropoli, Davis auspica una “scienza delle rovine”. Il museo a venire è la città come tumore fibroso, con tutti i suoi abitanti. Oggi, di cosa si parla quando si parla di architettura e di urbanistica?

Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #32

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Marcello Faletra

Marcello Faletra

Marcello Faletra è saggista, artista e autore di numerosi articoli e saggi prevalentemente incentrati sulla critica d’arte, l’estetica e la teoria critica dell’immagine. Tra le sue pubblicazioni: “Dissonanze del tempo. Elementi di archeologia dell’arte contemporanea” (Solfanelli, 2009); “Graffiti. Poetiche della…

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