Addio alle Olimpiadi di Roma 2024. Tutte le architetture che potrebbero non riqualificarsi mai

Dall’Olimpico al Flaminio, ormai in completo abbandono, passando per la Vela di Calatrava. Ecco cosa perde Roma rinunciando alle Olimpiadi

Le Olimpiadi come occasione – o meglio: necessità – di mettere mano a infrastrutture che sfuggono dalle maglie dell’ordinaria amministrazione per scivolare nel campo dello straordinario: opere insomma che zavorrate dall’incuria sedimentata nel corso degli anni potrebbero giovare degli investimenti olimpici per darsi una rinfrescata. Non sono pochi i luoghi della mappa di Roma 2024 che avrebbe potuto godere, almeno sulla carta e dando per scontato il rispetto dei programmi, di una salutare quando non salvifica opera di restyling.
Perché le 57 pagine del dossier presentato da CONI, limpidamente diffuso online dallo stesso Comitato ma probabilmente non letto da nessuno dei detrattori del progetto, parlano chiaro: se il 46% delle sedi olimpiche (pari a 17) è già esistente e non richiede lavori di ammodernamento, e il 35% è invece da costruire ex novo (13 strutture) sono ben 7 le location (il 19%) che invece sarebbero accolte in strutture sì in essere, ma attualmente tutte da sistemare. Andiamo a leggere di cosa si tratta, così da farci un’idea di cosa comporta per Roma perdere il treno olimpico. Almeno per quanto riguarda il settore pubblico: non riteniamo infatti decisivamente significativo per la collettività che saltino i lavori al Marco Simone Golf & Country Club, destinato ad accogliere chiaramente il torneo di golf. Ci scuseranno proprietari dell’impianto e golfisti tutti.

GLI STADI OLIMPICO E FLAMINIO
Partiamo dallo Stadio Olimpico, un vecchietto classe 1938 che nonostante gli interventi di cui ha beneficiato nel 1953, per i mondiali del 1990 e ancora nel 2009 ha bisogno di un ulteriore make-up per assolvere al suo ruolo di grande-stadio-nazionale anche quando la Roma avrà il suo impianto la cui costruzione dovrebbe – sempre se il Comune non stopperà anche questo progetto – a Tor di Valle con tanto di torri di Daniel Libeskind a fianco: il caso del temporale di poche settimane fa, con spogliatoi e area stampa completamente allagati e conseguente sospensione della partita di calcio tra Roma – Sampdoria è la conferma che urgono interventi. Perché ad agosto un acquazzone può sempre capitare, e fermare una finale olimpica (qui si terrebbero la manifestazione di apertura e le gare di atletica: le più attese) perché lo stadio fa acqua non è accaduto nemmeno nella traballante organizzazione di Rio de Janeiro. Il CONI prevede cantieri aperti dal 2018 al 2023, a prescindere dunque dalla possibilità che l’A.S. Roma si doti entro il 2022 di uno stadio di proprietà, che potrebbe rientrare quindi nella redistribuzione delle gare. Anche il secondo impianto della città, lo Stadio Flaminio, progettato da Antonio Nervi (figlio di Pier Luigi), rientrerebbe nella partita delle strutture da ravvivare. Vicenda drammatica quella del Flaminio, che dopo essere stato promosso a Olimpico bis negli anni pre Italia ’90, quando l’impianto principale era chiuso per i lavori in vista dei Mondiali, è scivolato lontano dagli occhi e dal cuore delle diverse amministrazioni. Il colpo di coda nel 2008, quando fu assegnato alla Federazione Rugby come palcoscenico per il Sei Nazioni: una liaison interrotta nel 2012, data dalla quale l’impianto – non dimentichiamolo: di proprietà comunale! – è sprofondato nell’incuria più totale. A “perdere meno” sembrerebbe il terzo stadio coinvolto, quello di Tre Fontane: costruito per le Olimpiadi del ’60, teatro degli allenamenti del secondo storico scudetto giallorosso, è stato oggetto di lavori a partire dal 2013 e ancora l’anno passato. Non verte quindi nella situazione disastrosa del Flaminio, ma essendo al centro di un complesso sportivo di 170mila metri quadri, in parte utilizzato dall’A.S. Roma, in parte dalla locale squadra di rugby e in parte dal Comitato Paralimpico, potrebbe godere di fondi importanti per mettere a sistema e ottimizzare la convivenza, implementando e migliorando i servizi e erogandone di qualità specie all’utenza dei portatori di handicap.

Roma, Stadio Olimpico

Roma, Stadio Olimpico

I PALAZZETTI DI NERVI E CALATRAVA
Anche gli impianti indoor, non solo quelli all’aperto, avrebbero potuto approfittare dell’occasione olimpica. In primis il meraviglioso Palazzetto dello Sport progettato da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi del ’60: un’altra struttura che sente il peso del tempo, se è vero che meno di cinque anni fa si dovette ricorrere a interventi d’urgenza (ampliamento delle tribune, ammodernamento di impianti di illuminazione e riscaldamento) per garantire alla squadra di basket della città l’iscrizione al massimo campionato. Da una struttura esistente ma acciaccata ad un’altra che nemmeno è mai entrata in funzione. Parliamo della celeberrima doppia Vela di Santiago Calatrava, centro natatorio che avrebbe dovuto servire il Mondiale di Nuoto del 2009 e che non è mai stato completato. Spesa prevista in origine 60 milioni di euro, ora pare lievitati a 300 per il suo completamento: anche questa è una infrastruttura che avrebbe ricevuto dall’Olimpiade una scossa. Che ne sarà ora? Il sindaco assicura: “se ne occuperà la Seconda Università di Roma Tor Vergata per farne una Vela della Conoscenza”. E che ne sarà dei padiglioni della Fiera di Roma progettati da Tommaso Valle, altra struttura mai del tutto decollata e per la quale Roma 2024 sembrava poter rappresentare una chance?

DAL FORO ALLE PERIFERIE
La lista delle occasioni perdute è però ben più ampia. Se è facile pensare che la programmazione delle gare di tiro con l’arco alle Terme di Caracalla e di beach-volley al Circo Massimo avrebbe portato lavori di mantenimento sempre graditi anche in zone dal grande appeal turistico, è chiaramente nelle periferie che il discorso si fa più difficile. Perché se è vero che un investimento – magari anche privato – per intervenire nell’area dei Fori si può sempre trovare (non fosse altro che per scongiurare epiche figuracce internazionali) è altrettanto vero che la miriade di piccole strutture sportive disseminate qua e là per la città, e che sarebbero poi rimaste alla collettività come eredità migliore e più apprezzata dell’Olimpiade, torneranno nell’oblio. Niente lavori allora al Campo comunale Gualandi in zona Ostiense, né a quello di Villa Gordiani a Casal Bertone; niente interventi al centro sportivo Melli al Torrino o al campo comunale di via Balzaretto.
Legittimo quindi scegliere per evitare le Olimpiadi. Ora però si risponda a una domanda: che sarà di tutti questi interventi che Roma 2024 avrebbe contribuito a realizzare? Sono nell’agenda dell’amministrazione? Con quali tempi, risorse, progettualità? E con quale qualità architettonica?

www.roma2024.org
 

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Redazione

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