Cespiti (VII). Don’t touch me

Due scene romane, fra San Carlo alle Quattro Fontane e la fermata Barberini della metropolitana, a simboleggiare il contrasto fra due civiltà. Che non sono Oriente e Occidente, o Cristianesimo e Islam. Anzi.

…ma io sono un uomo elegante, amico,
e l’eleganza non è altro che memoria.
Norman Mailer, Un sogno americano (1965)

Roma, 9 giugno 2016 (più tardi). La pace di San Carlo alle Quattro Fontane: sistema aperto, organico. La cura e l’accoglienza di questo spazio, della sua concezione e realizzazione – foglie e fiori tutti di specie diverse, sembrano veri – conchiglie, forme naturali – il mondo, vivo e sbiancato, è raccolto qui a gloria di Dio – in una costruzione sapiente – la pietra diventa morbida, mobile, flessibile, dinamica (le curve), vivace – vivida – l’architettura e lo spazio sono antiretorici, fuori dal recinto e dalla gabbia che racchiude normalmente l’espressione artistica e culturale in Italia: “è come se la vita italiana, dall’inizio della sua storia, fosse una lunga e barbarica tavolata, piena di cacciagione o vini pregiati, o anche semplici patate e rape, o ciliegie e altra bella frutta, ma, insomma, natura morta. Una immensa natura morta e niente più. Chissà perché mi vengono in mente queste cose sulla natura esteriore e importante (oh, miseria) degli italiani, in storia, cronaca, vita e letteratura, sulla impossibilità della mente – in questo paese – di fermarsi mai sulla interiorità e invisibilità del reale, e sulla tendenza a combattere continuamente per il possesso di beni sempre esteriori, arroganti e insultanti” (Anna Maria Ortese, Piccolo e segreto).

Ettore Scola, Brutti sporchi e cattivi (1976)

Ettore Scola, Brutti sporchi e cattivi (1976)

Uso della luce, anch’essa morbida; ritmo, armonia; orchestrazione (call-and-response effect; pieno e vuoto).
Contrasto amaro di quella con questa civiltà (: il tipo, pazzo ma perfettamente irreprensibile secondo gli standard odierni, inglese, qualche minuto fa nella metro, alla fermata Barberini, che mi urla: “Don’t touch me!” – e io: “Ma che vuoi, ahò?” -, pensando che io – elegantissimo peraltro, oggi, in abito spezzato e camicia a righe, elegante come questo quasi-vecchio non è certamente mai stato in vita sua, né può mai sperare di essere, con la sua orrida giacca impermeabile celeste – possa volergli, realizzo una frazione di secondo dopo, rubare il portafogli! La follia contemporanea che si annida in questi cervelli bacati, ammuffiti: e si sposta continuamente di lato, di scatto, manco stessi cercando di accoltellarlo o di avvelenarlo, quando l’unico mio desiderio è che questo idiota patentato e sesquipedale semplicemente si sposti e mi lasci uscire in santa pace dalla carrozza, dato che le porte tra un attimo si chiuderanno, e questo continua a dire ad alta voce: “Don’t touch me! Don’t touch me” – “ma chi te tocca” – il massimo dell’incomunicabilità e dell’incomprensione, io incredulo, e anche il massimo del disprezzo e della cattiveria e della cancellazione dell’altro), che contrasto dicevo rispetto all’armonia e alla sapienza che regnano qui dentro, alla lezione di cura per la propria anima e per il proprio intelletto, alla forma-di-vita, possibile, palpabile, e dimenticata, dentro San Carlo.

Leoncillo, Natura morta con bottiglia e polipo (1943) e Giorgio Morandi, Senza titolo (1962), installation view, Hic Sunt Leones, L'Attico, Roma 2015

Leoncillo, Natura morta con bottiglia e polipo (1943) e Giorgio Morandi, Senza titolo (1962), installation view, Hic Sunt Leones, L’Attico, Roma 2015

Taranto, 7 luglio 2016. L’arrivo al porto con il pullman da Mottola. A piedi per la stazione. La magnificenza di questo declino – cogliere la gloria della rovina, della povertà, dell’abbattimento beato (beat), dell’arretramento inconsapevole, della recessione spirituale prima ancora che economica – e coglierla in uno sguardo, istantaneamente, con un’emozione quasi inesprimibile e inarticolabile con le parole – la gloria per esempio di questo palazzone verdastro sulla sinistra nella piazza della stazione – mezzo fascista e mezzo cubano – completamente scrostato e diroccato – verde e beige, immerso nel sole morto – la gloria e la bellezza di questa caduta irredimibile, di questo fallimento, di questa decadenza, di questa vita spettrale in piena luce – di questa notte solare che è Taranto nelle sue parti più scoperte, e ruvide.
Un giorno probabilmente la fisiologia ci spiegherà il meccanismo del pensiero e delle passioni; sapremo come funziona la macchina individuale dell’uomo, come pensa, come ama, come procede dalla ragione alla passione ed alla follia; ma questi fenomeni, queste risposte del meccanismo organico all’influenza dell’ambiente interno non si manifestano all’esterno isolatamente e nel vuoto. L’uomo non è solo ma vive in una società, in un ambiente sociale e perciò per noi romanzieri questo ambiente sociale modifica continuamente i fenomeni. Anche il nostro grande studio ha in ciò il suo centro: nell’azione reciproca della società sull’individuo e dell’individuo sulla società” (Émile Zola, Il romanzo sperimentale, 1880).

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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