Firenze e Boston. Il fashion a confronto

Due mostre, due città diverse. Il tema, comune, è la moda. Firenze e Boston propongono due visioni differenti del fashion, descrivendo, negli ambienti di Palazzo Pitti e del Museum of Fine Arts, approcci diversi a un ambito sempre più sotto i riflettori. Fra estetica e tecnologia.

LA MODA, TRA FIRENZE E BOSTON
A Firenze, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, C’è Karl Lagerfeld – Visions of Fashion, l’esposizione curata dalla Fondazione Pitti Immagine Discovery che inaugura, a ogni apertura di Pitti Uomo, un’esposizione dedicata al fashion. L’allestimento è degno dell’ostentazione che è tipica di questo mondo. Gigantografie cielo-terra, lampadari di cristallo e, a fare da contorno, qualche capolavoro di Raffaello. Al Museum of Fine Arts di Boston, invece, c’è #techstyle. Location prestigiosa anche questa perché il museo è comunque un’istituzione imponente per la città. L’allestimento è passabile, ma niente di eccezionale: qualche manichino, qualche bacheca, piccole pedane qua e là per dare movimento al tutto, molti video, molti pannelli esplicativi. Giusto che sia così. Firenze è una città dove per secoli si è coltivata l’eleganza. Boston, con il MIT – Massachusetts Institute of Technology e Harvard a capeggiare un gruppo di università di fama, ha sviluppato una propensione alla ricerca e in particolare all’high tech.

Karl Lagerfeld - Visions of Fashion, veduta della mostra, Palazzo Pitti, 2016

Karl Lagerfeld – Visions of Fashion, veduta della mostra, Palazzo Pitti, 2016

LAGERFELD E PALAZZO PITTI
Veniamo ora ai contenuti. Nella Sala Bianca, le fotografie del poliedrico Karl Lagerfeld che tanta pubblicistica definisce da anni il Kaiser, l’imperatore della moda contemporanea. Lagerfeld, oggi ottantatreenne, è un designer che appartiene alla generazione di Valentino Garavani e Yves Saint Laurent. Un eclettico, coltissimo e strenuo lavoratore: dorme poco, legge molto, lavora molto, colleziona case, scrive lettere lunghissime con una magnifica calligrafia, e da anni fotografa, soprattutto in bianco e nero. E proprio intorno a questa sua passione si sviluppa la mostra. Gigantografie soffitto-pavimento che riempiono gli occhi e appagano facilmente il senso estetico di un europeo. Nella Galleria Palatina, poi, spicca il suo selfie-portrait dilatato su tre immagini, circondato da un’antica cornice d’oro.

Anthazoa cape and skirt, Voltage Collection (detail), 2013, designed by Iris van Herpen and Neri Oxman, printed by Stratasys

Anthazoa cape and skirt, Voltage Collection (detail), 2013, designed by Iris van Herpen and Neri Oxman, printed by Stratasys

BOSTON E LA TECNOLOGIA
Nelle salette del Museum of Fine Arts di Boston il lavoro di ricerca dei curatori, invece, ha una tesi precisa. La tecnologia sta influenzando non solo il modo di concepire e produrre ma anche quello di vendere gli abiti. Niente sarà più come in passato. A sostenere questo assunto, abiti e accessori di nomi molto conosciuti tra gli addetti: Issey Miyake, Comme des Garçons, Mary Katrantzou, Hussein Chalayan e Alexander McQueen. Ma anche di sconosciuti, eppure talentuosissimi, creativi come TheUnseen, Nervous System o il duo Anthozoa. Ci sono star emergenti come Iris van Herpen, riconosciuta maestra dell’abbigliamento high tech a Parigi come a New York. O Cute Circuit che producono abiti di scena per Kate Perry e per gli U2. Una gonna qui in mostra è tessuta con 10.000 micro Led che modificano le geometrie della sua stampa ma con cui è anche possibile twittare. C’è il black dress zippato di Pauline van Dongen con pannelli solari di neoprene incorporati: piccole protesi capaci di ricaricare un cellulare dopo due ore di esposizione alla luce solare. C’è l’abito couture progettato da Threeasfour attraverso la sequenza matematica di Fibonacci, modellato e stampato da una stampante 3D in un totale di 500 ore. Non poteva mancare l’esotico high tech: una tunica traslucida di Ying Gao ricoperta di aghi che si muovono come il vello di un felino in attesa di attaccare. Ma c’è molto di più.  Una ricerca recente del Boston Consulting Group ha messo in evidenza come per i Millennial (18-34 anni), i consumatori più ricercati dalle multinazionali del lusso, un elemento di giudizio fondamentale sia la sostenibilità percepita del prodotto da acquistare. E infatti i curatori di #techstyle sottolineano come il trattamento delle fibre naturali, la loro tessitura e la loro colorazione siano tra i processi più inquinanti della manifattura tradizionale. Ma grazie alla tecnologia grandi passi avanti si stanno facendo anche in questa direzione. “The future of fashion is sustainable. It’s wearing without wasting, but it’s also so much more than just wearing”.
A Boston c’è il MIT. E a Firenze Palazzo Pitti. Una domanda si affaccia inquietante: ce la farà l’Italia con i suoi bei lampadari di cristallo a non sparire dalle mappe geografiche dell’economia internazionale?

Aldo Premoli

Boston // fino al 10 luglio 2016
#techstyle
a cura di Pamela Parmal, Michelle Tolini Finamore e Lauren Whitley
MUSEUM OF FINE ARTS
465 Huntington Avenue
+(1)  617 267 9300
www.mfa.org

Firenze // fino al 23 ottobre 2016
Karl Lagerfeld – Visions of Fashion
a cura di Eric Pfrunder e Gerhard Steidl 
PALAZZO PITTI
Piazza dei Pitti 1
http://www.pittimmagine.com/corporate/fairs/uomo/events/2016/karllagerfeld.html

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/54560/karl-lagerfeld-vision-of-fashion/

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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