Voglia di italianità. L’editoriale di Cristiano Seganfreddo

C’è una sensazione diffusa che l’idea di creatività e di innovazione che aderiva all’immaginario del nostro Paese, e che di questo Paese è stata la vera matrice di sviluppo, dopo anni di dimenticanza e di stanchezza sia tornata a casa. C’è una voglia diffusa di italianità.

La nuova primavera milanese”, “Italy is back”, “Il nuovo stile italiano che torna”, “La nouvelle vague dei nuovi italiani”, “Viva Milano, Viva Fashion, Viva Italy”. Sono solo alcuni dei titoli che, quasi ogni giorno, ritornano da tempo sulla stampa internazionale. Un effetto misto, forse post Expo, di una Milano definita la meta mondiale del 2015, per il New York Times. Il Wall Street Journal, altro potente tra i quotidiani americani, ha dedicato una lunga recensione a Bellissima: Italy and High Fashion 1945-1968 di Maria Luisa Frisa, Stefano Tonchi e Anna Mattirolo. La mostra, dopo il debutto al Maxxi, è passata per Villa Reale a Monza e fino al 19 giugno era negli States, all’NSU Art Museum Fort Lauderdale.
Sembra che ci sia stata un’evidente inversione di rotta. Non tanto nei contenuti, che forse quelli ci sono sempre stati, quanto nella nostra credibilità. Interna ed esterna. Come se lo spread e l’instabilità si fossero ridotti di colpo e l’emorragia bloccata. C’è una sensazione diffusa che l’idea di creatività e di innovazione che aderiva all’immaginario del nostro Paese, e che di questo Paese è stata la vera matrice di sviluppo, dopo anni di dimenticanza e di stanchezza, sia tornata a casa. C’è una voglia diffusa di italianità.

Roberta Cocco

Roberta Cocco

Una somma atipica e improbabile di situazioni, positive, riportano un po’ di sorriso, o di speranza. Come il ritorno di Diego Piacentini in Italia. “Mr. Prime Minister @matteorenzi, we are so proud of Diego. Great for Italy. Kudos to all!”, ha scritto Jeff Bezoz, CEO e fondatore di Amazon. Piacentini, che è uno dei più straordinari manager globali, sta facendo la spola, a titolo non oneroso, fra Italia e Usa, ed è il “nostro” commissario per il digitale e l’innovazione [una scelta simile l’ha appena fatta il neosindaco di Milano Giuseppe Sala, nominando ad assessore alla Trasformazione Digitale Roberta Cocco, direttore per i Piani di Sviluppo Nazionali per l’Europa Occidentale in Microsoft, N.d.R.]. Un ruolo centrale e fondamentale in questo momento dove il mondo è tutto “mobile”. Una scelta che inciderà profondamente sull’atteggiamento culturale e sul cambio di paradigma che da troppo ci diciamo di fare in ogni lingua.
Nel frattempo, anche i paradigmi passano, assieme agli anni. Forse stavolta è quella buona, seguendo anche le regole sull’innovazioni di Piacentini: “Quella fondamentale è non dire mai ‘non funzionerà’. La seconda è che le grandi idee vanno gestite e organizzate. Si può fare se si dispone dei concetti fondamentali: pensiero innovativo, trasparenza e autocritica, visione di lungo periodo senza l’ossessione dei risultati a breve termine, mettendo il cliente al primo posto. Questo è quello che faremo in Italia”.
Buon lavoro. In attesa che ci sia la stessa chiarezza anche nell’ambito culturale.

Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto
direttore scientifico del corriere innovazione

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30

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