Banksy mania, oltre la strada. Tra musei, fotocopie e gallerie

Il fenomeno ha ormai contagiato il mondo intero. Tutti lo vogliono, tutti lo citano, tutti ne parlano: Banksy, il misterioso street artist senza volto, è un’icona vivente. Parliamo della sua mostra a Roma, della sua nomination a un premio internazionale, di una strana operazione inaugurata in un paesino toscano. E anche di come la Street Art stia cambiando. Tra false riqualificazioni e mercato.

TUTTI PAZZI PER BANKSY. A PARTIRE DA ROMA
Evocato, chiacchierato, celebrato, al centro di polemiche (ormai poche) ed acclamazioni (moltissime), Banksy “l’invisibile” domina la scena, senza tregua. Un brand, oltre che un artista. Tanto sovversivo, indipendente e schivo, quanto corteggiato dal mainstream, se non assimilato, mentre è ancora in piena attività. Lui procede per la sua, difendendo quell’anonimato che gli ha portato bene, e concentrandosi su poche azioni pubbliche, spesso radicali. Gli altri ne fanno merce, pretesto, guadagno, tendenza, furto, passione, occasione.
E la Banksy mania non si arresta. Cominciando da Roma, dove nelle belle sale di Palazzo Cipolla è in corso la grande esposizione voluta dal magnate Emmanuele Emanuele, con la cura di Stefano Atonelli e Francesca Mezzano. Mostra ben allestita, con un bastimento di 150 lavori, nata – ovviamente ed esplicitamente – senza la collaborazione dell’artista, benché sia la più ampia mostra su di lui mai organizzata.

Banksy, Chalk Reaper, 2005

Banksy, Chalk Reaper, 2005

Molte tirature, diverse tele, qualche scultura, cover di dischi: tutti pezzi giunti da collezioni private. Utile a mettere a fuoco alcuni nodi centrali della poetica di Banksy, ma l’impianto si ferma là. I maggiori progetti – dall’elefante di Barely Legal al finto album di Paris Hilton, dalla cabina telefonica assassinata al prigioniero di Guantanamo collocato a Disnayland, dal tour newyorchese Better Out Than In al parco di Dismaland – sono evocati attraverso un’efficace timeline grafica a parete. Il taglio didattico/antologico, del resto, era dichiarato.
La carica ironico-eversiva di un lavoro nato per vivere illegalmente in strada – e dunque per sorprendere, aggredire, insidiare – si congela così in una mostra-vetrina, al chiuso e a pagamento, che si inscrive in quel naturale (e in questo caso precocissimo) processo di storicizzazione, istituzionalizzazione ed imborghesimento delle controculture.

Banksy, Rude Copper, 2002

Banksy, Rude Copper, 2002

NOMINATION E GALLERIE
Oltreoceano, nel mentre, i prestigiosi South Bank Sky Arts Awards, alla loro 20esima edizione, hanno assegnato lo scorso 5 giugno i premi per le dodici categorie in concorso, durante una serata di gala all’Hotel Savoy di Londra: in short list, per la categoria “visual art”, c’era proprio lo street artist di Bristol, selezionato per il suo strepitoso Dismaland. A batterlo la pittrice Lynette Yiadom-Boakye, con la mostra Verses After Dark presentata alla Serpentine.
A Monaco, ancora, la galleria aperta dal mega imprenditore e collezionista Dirk G. Kronsbein ospita fino al prossimo settembre una cinquantina di opere di Banksy; stampe, tele, gadget, mettendo in scena il suo tipico catalogo di figurine pop, simboli dell’era consumistica, spunti  satirico-politici, allusioni alla guerra e alla violenza del potere. Anche in questo caso – come a Roma – non un taglio storico-critico particolare. Né un coinvolgimento del mitologico street artist, ben contento di restare a guardare, gestendo in totale autonomia le sue azioni urbane.

Il murale di Banksy regalato alla scuola di Bristol - foto via deejay.it

Il murale di Banksy regalato alla scuola di Bristol – foto via deejay.it

E INTANTO A BRISTOL…
A Bristol, invece, è appena stata lanciata una app – al costo di £ 2.29 – che consente di identificare e raggiungere, tramite una mappa geolocalizzata, i pezzi meglio conservati di Banksy sparsi in città. Strumento ad hoc per turisti e fan.
E sempre dalla cittadina britannica, che ha dato i natali all’artista, è arrivata pochi giorni fa una notizia curiosa, gonfia di tenerezza. Una scuola elementare aveva intitolato un’aula all’illustre concittadino. Un omaggio innocente, di quelli che si riservano ai personaggi mitici, e che in lui deve aver toccato qualche corda speciale. Mentre i bambini erano in vacanza, il nostro si è intrufolato nel cortile e ha dipinto una parete esterna: tratti infantili e lievi, nero su bianco, per la sagoma di una bimba che gioca con un copertone in fiamme, quest’ultimo reso in chiave realistica, a colori.
Un dono per i suoi piccoli ammiratori, accompagnato da un messaggio: “Cari studenti della Bridge Farm School, grazie per aver intitolato a mio nome un’aula. Fatevi una foto e se non vi piace sentitevi liberi di modificarlo. Sono sicuro che ai vostri insegnanti non dispiacerà. Ricordatevi che è più facile ottenere il perdono che il permesso“. Come dire: meglio fare, rischiando di sbagliare, che attendere il consenso da un sistema dimentico del valore della libertà.

I pannelli dedicati a Banksy, a Cascine di Buti

I pannelli dedicati a Banksy, a Cascine di Buti – foto QuinewsValdera.it

IL CASO BUTI. ANCHE LA PROVINCIA D’ITALIA STA CON BANKSY. MA…
Tornando in casa nostra, altre scene, altre cronache. Siamo a Buti, un paesino di quasi 6.000 anime, incastonato tra le dolci vette dei Monti Pisani. Qui il giovane sindaco uscente, il renziano Alessio Lari – in corsa per il ballottaggio alle amministrative – lancia un progetto destinato al grande muro che costeggia la sarzanese, uno stradone regionale che attraversa diversi centri toscani.
Lari decide di sostituire lo squallore del cemento grigio con l’arte contemporanea. E tira fuori la parolina magica: “riqualificazione”. Il trend è servito. In generale, la corsa verso il recupero di questo e di quello – periferie, piazze, strade, vecchi palazzi, case popolari – si diffonde dai grandi centri urbani alle micro realtà provinciali, con quella formula che tanto piace ai media ed alla gente: Street Art, soprattutto, o interventi d’arte pubblica varia ed eventuale. Peccato che la famosa riqualificazione si riduca, nella maggioranza dei casi, a un mero intervento di decorazione e abbellimento, se non di imbruttimento (l’arte che incide sui territori e i tessuti sociali è altra cosa). E peccato che spesso a mancare siano talento, consapevolezza, piani ben orchestrati. Il rischio della speculazione, infine, è sempre dietro l’angolo, fra operazioni di gentrificazione e propaganda politico-mediatica-elettorale.

I pannelli dedicati a Banksy, a Cascine di Buti - foto iltirrenogeolocal.it

I pannelli dedicati a Banksy, a Cascine di Buti – foto iltirrenogeolocal.it

Nel caso di Buti non c’entrano strategie immobiliari o di potere, ma c’entra l’uso improprio della parola “riqualificazione” (una colpa diffusa: rientriamo nella sfera dei cliché lessicali). E c’entra soprattutto una strana pratica citazionistica, che niente ha a che vedere con l’arte ragionata a misura di spazi comuni.
L’amministrazione, accogliendo un’idea dell’art director Stefano Stacchini, ha coperto infatti il suddetto muro con delle maxi stampe di opere celebri di Banksy, sorrette da strutture in alluminio. Tutto qua. Invitare un artista– magari uno meno celebre, ma comunque di talento, come ce ne sono a centinaia – e chiedergli di progettare nuovi muri dev’essere sembrata un’opzione banale. Si è preferito giocarsi il mega nome, anche se solo con dei poster. Il sindaco, orgoglioso, commenta sul suo profilo Facebook l’impresa, siglando il post con “Thank You Banksy”. Manco l’avesse voluto lui, il progetto.

Banksy, Kids on guns, 2003

Banksy, Kids on guns, 2003

UNA TRISTE CHINA PER LA STREET ART?
Ora, a parte le più ovvie questioni legate all’autorialità e al rispetto del parere di un artista, nel momento in cui vengono riprodotte e utilizzate sue immagini d’archivio in forma d’installazione pubblica, ci si chiede perché ricorrere a un intervento sicuramente d’effetto, ma che si riduce a una copia. Un “tributo”, d’accordo, ma utile a cosa, a chi?
L’episodio di Buti, nascosto tra le pieghe della provincia italiana, che in pochissimi avranno commentato e che avrà portato fortuna al giovane sindaco – animato delle migliori intenzioni, per carità – dà la misura di quello che è un fenomeno incontrollato: se Banksy è un brand, usato ed abusato come merce, tutta la Street Art pare spingersi verso un’inquietante china. Ciò che si avalla, in generale, è un’idea di riqualificazione furbesca e superficiale, mentre sul fondo restano i progetti, l’autonomia degli artisti, il lavoro sul territorio, il ruolo curatoriale, il pensiero e la ricerca. La qualità, in una parola sola. E le responsabilità sono comuni: amministrazioni miopi, privati affamati di moneta, curatori improvvisati, artisti che dicono troppi sì o che si accontentano della sfida dei numeri e dei click (molti muri, molti like). E allora, chi riqualificherà la Street Art?

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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