L’Islam rivelato e proibito di Aidan Salakhova

Alla Saatchi Gallery di Londra è arrivata Naomi Campbell. Ce l’ha portata Aidan Salakhova, che ne ha fatto una scultura mirabile. E Naomi diventa Nefertiti. Poi c’è la questione del burka, della libertà della donna, della democrazia russa…

ISLAM E FEMMINISMO
All’inaugurazione a Londra, la galleria Saatchi ha dispiegato un imponente servizio di sicurezza, dato l’afflusso particolarmente numeroso di visitatori accreditati e per i temi scottanti di questa mostra, Revelations, che è la prima grande personale di Aidan Salakhova (Mosca, 1964) nel mondo occidentale. Alla Biennale di Venezia ha rappresentato ora il suo Paese natale, la Russia, ora l’Azerbaijan, di cui sono originari entrambi i genitori, ed è stata consacrata a Mosca con medaglia d’oro alla carriera nel 2015.
Aidan celebra le tradizioni più antiche ed esoteriche del Medio Oriente, ma anche delle sue terre d’origine, il carico di sensualità, il senso del sacro e il gusto del proibito, impastando giochi trasgressivi sadomaso con un ardito quanto intelligente revanchismo femminista.
Il risultato è una mostra coerente e ben pensata, capace di polarizzare a Londra le aree più progressiste del gigante sovietico. E malgrado il clima da guerra fredda ci separi a colpi di sanzioni bilaterali, la mostra è voluta e sostenuta nella capitale inglese dalla potente fondazione della famiglia Tsukanov, mentre sollecita e attrae, nella città capoluogo di tutte le provocazioni, l’intellighenzia colta del mondo arabo.

Aidan Salakhova – Revelations - Saatchi Gallery, Londra 2016

Aidan Salakhova – Revelations – Saatchi Gallery, Londra 2016

UN’INDIGESTIONE DI CONCETTUALE
Nella galleria-museo-mausoleo numero uno del contemporaneo, colpisce il quantitativo di marmi e graniti lavorati con amore per il bello che deriva all’artista da una formazione accademica in fondo mai venuta meno in Russia. E se negli ultimi anni i marmi sono tornati a essere materiale artistico alla stregua di tanti altri, la sua creatura giovanile, la Aidan Gallery, è stata la prima galleria a trattare nel mondo sovietico arte contemporanea nel senso in cui l’intendiamo noi, per lo meno dai tempi di Warhol e Rauschenberg.
Perciò si può dire che, nel suo ruolo di mercante, Salakhova abbia fatto un’indigestione di concettuale, il che giustifica come oggi torni con maggior consapevolezza e intenzionalità più forti ai marmi, alla pittura, non limitandosi a quelli ma attualizzandoli e chiarendone i significati con un video, che riassume in sé il significato di un po’ tutte le opere ed è la chiave di volta di questa Revelations.
Il registro linguistico rimanda ai lasciti del realismo zdanoviano russo-sovietico, ma i temi e i motivi, i fondali per lo più piatti e dorati o comunque metafisici, la tavolozza dominata da colori primari e la resa sintetica delle forme sono quelle della miniatura persiana, delle icone sacre, di una simbologia tanto raffinata quanto esplosiva, perché condotta nella più palese inosservanza del veto iconoclastico. Ecco allora chiarito che non si tratta di una ripresa un po’ facile della tradizione, ma di una riflessione sulla potenza presentificatrice della scultura nella sua forma più essenziale e dirompente: camminiamo fianco a fianco delle tre dee pagane di cui recitano nel Corano i censurati e proibitissimi versi satanici, ci troviamo al cospetto di tre idoli che lo stesso Maometto riconobbe come sue sorelle, come altrettanti intermediari divini, tre idoli femminili che l’Islam posteriore ha però bandito come il peggiore dei mali. Fortuna che al visitatore medio sfuggono molti passaggi, e fin qui tutto fila liscio.
A una lettura più attenta alla fenomenologia degli stili risulta chiaro che è in gioco la valenza sovvertitrice del simbolo, dal greco syn-ballein: Aidan maneggia il potere magico di un ingombro fisico inchiodato nel qui ed ora, che insieme è sempre capace di scagliare e scagliarci oltre con l’immaginazione, portando con sé sempre i significati di un’ulteriorità. Ma se non è possibile né è lecito ogni tentativo di ingabbiare il divino in una presenza materiale, ecco le ragioni del dissenso durato nell’Islam per oltre 2.500 anni e viceversa dell’incommensurabile bagaglio di forme simboliche proprio dell’Occidente.

Aidan Salakhova – Revelations - Saatchi Gallery, Londra 2016

Aidan Salakhova – Revelations – Saatchi Gallery, Londra 2016

NAOMI CAMPBELL, NOVELLA NEFERTITI
Ci troviamo ancora alle prese con simboli tratti da un immaginario antico e modernissimo. La coppia di nudi di un nero che più nero non si può non sono altri che Naomi Campbell e uno a caso degli amanti del suo harem, prostrato e soggiogato dalla sua bellezza di donna, un tipo di donna per niente anoressica e malaticcia ma tutto il contrario, portatrice di valori di forza e fierezza, perfettamente auto-consapevole, e bellissima. La Venere nera ha effettivamente posato per la realizzazione di questa statua, ma Aidan ne ha fatto dell’altro.
Non soddisfatta del calco iperrealista e della sua meccanica trasposizione in granito africano, ha strumentalizzato anche l’immagine della diva ai fini della battaglia per la rivendicazione dei diritti della donna islamica, e ha interpretato, fatto suo il soggetto, puntando dritto a riferimenti iconografici radicati nella scultura arcaica egizia. Pertanto Naomi Campbell è se stessa, ma anche la regina Nefertiti, una vera regina egizia con tanto di copricapo reale e mantella bianchissima non tesa a coprire ma a sottolineare, se vogliamo, le rotondità più sode e ammirate al mondo, perché Naomi calcherà in eterno con falcata possente ancora un’ultima catwalk per Gianni Versace. Che il simbolo, l’icona s’incarni e prenda corpo non fa che accentuare la spavalderia con cui l’artista va in barba a tutti i cliché e alle mode di questo terzo millennio, che è poi così smaterializzato e senza corpo da dare le vertigini e far crollare tutto in una deriva apocalittica da fine del mondo. E allora della maniera del concettuale di quarta generazione si ha l’impressione che qualcuno si alzi in piedi a dire basta, come quel fanciullo che se ne uscì con quattro parole buttate lì: “Il-re-è-nudo“.

Aidan Salakhova – Revelations - Saatchi Gallery, Londra 2016

Aidan Salakhova – Revelations – Saatchi Gallery, Londra 2016

IL VELO COME PASSEPARTOUT PER L’INAUDITO
A chiudere il giro entriamo nella sala dominata dal video da cui sono estratti materialmente alcuni corpi e trasposti lì a fianco in blocchi di candido marmo statuario, e tutto diventa chiaro anche per l’osservatore più distratto. Ci sono cinque uomini palestrati e seminudi, cinque schiavi del sesso, oggetti di un gioco erotico che riposa interamente nelle mani di altrettante fascinosissime donne coperte dal burka, in un rovesciamento di ruoli nettissimo e senza precedenti: il velo, leitmotiv di tutta l’esposizione, è lo strumento di un piacere ancor più pieno ed estremo.
Agghindate con scarpe lussuosissime, tacchi 14, gioielli e trucchi che escono dai racconti di Le mille e una notte, queste donne rappresentano la punta in avanti della cultura islamica, donne avanzate e moderne nascoste da un velo che indossano con aria di sfida. Lungi dall’infliggere una nuova umiliazione sottomettendo la donna all’anonimato e all’obliterazione della sua persona, il velo rende possibile l’inaudito. La donna domina sul corpo nudo spogliato e umiliato dell’uomo, è il simbolo, è luogo del divino sottratto dalla vista dei più e protetto nel mistero. E in questa cavalcata senza nome, sei tu l’imperatrice del tuo regno.

Francesca Alix Nicoli

Londra // fino al 9 marzo 2016
Aidan Salakhova – Revelations
SAATCHI GALLERY
King’s Road
www.saatchigallery.com

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Francesca Alix Nicoli

Francesca Alix Nicoli

Dopo gli studi classici Francesca Alix Nicoli si laurea in Storia della Filosofia e, di seguito, in Storia e Metodologia della Critica d’Arte. Le sue prime pubblicazioni vertono sul pensiero filosofico di David Hume nella produzione storiografica più recente, ed…

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