Poche idee… L’editoriale di Marco Senaldi

Ormai sono anni che va così: per piccolo che sia il festival, per grande che sia la biennale, per enorme che sia la manifestazione, la regola è che gli eventi collaterali siano sempre tanti, tantissimi, troppi. Così nessuno vede tutto e niente è criticabile.

Chissà quale genere di sadismo spinge gli organizzatori di kermesse di ogni genere all’eccesso di eventi. Per piccolo che sia il festival, per grande che sia la biennale, per enorme che sia la manifestazione, la regola è che le mostre, gli stand, gli incontri, i dibattiti, gli spettacoli, le lecture, le performance, gli eventi principali, collaterali, periferici e subperiferici siano sempre tanti, tantissimi, troppi.
Ma soprattutto, ed è l’essenza di questa regola, gli eventi devono comunque essere in un numero tale che esso sia comunque superiore alle possibilità di visita dello spettatore più indefesso, più smaliziato o meglio informato. Insomma, l’importante è che la manifestazione stessa, proprio manifestandosi, sia anche in parte invisibile, invisitabile, inaccessibile – in modo tale che assolutamente nessuno possa un domani, non sia mai, dire di averla vista tutta.
Il fenomeno è giunto al punto che, per farvi fronte, furoreggiano le community di spettatori che si scambiano info sui social, chi mesi prima della visita programmata, chi in diretta mentre la sta effettuando, cercando febbrilmente di distillare un qualche itinerario tra le dritte, spesso contrastanti, provenienti dalle fonti più diverse (“da non mancare poi il Padiglione Germania” / “il padiglione Germania è imbarazzante”).

La Biennale di Venezia, padiglione centrale

La Biennale di Venezia, Padiglione centrale

Al sadismo curatoriale e organizzativo corrisponde dunque un masochismo spettatoriale e visitativo: invece di mandare a quel paese i pasticcioni internazionali e la loro bulimia culturale, volentieri ci sottomettiamo a tour de force estenuanti, a pellegrinaggi debilitanti, a due-giorni (se va bene) sfiancanti, per poi tornare a casa con ponderosi cataloghi inconsultabili, i piedi gonfi, infiniti scontrini e qualche patetica foto da smartphone.
L’importante (ci immaginiamo) è riuscire a vedere, se non tutto, almeno quanto basta per affrontare un dibattito alla pari con gli amici senza fare la figura di quello che “sei andato, ma ti sei perso il meglio” (che è infinitamente peggiore di chi, a quella manifestazione, non c’è andato proprio).
Ma siamo sicuri che tanta sovrabbondanza non sia più che altro un semplice trucco, un modo come un altro per far passare inosservata l’inesistenza di un’ipotesi progettuale (!), o almeno di un qualcosa di minimamente sensato? Non suona un po’ finta ormai tutta questa esagerazione, come le caciotte in plastica del povero (!!) Dante Ferretti, tristemente immangiabile complemento ornamentale di Expo, ovvero la più infelice e sproporzionata kermesse miliardaria a uso dei poveri cristi planetari? Forse, sembra giunta l’ora di una ribellione degli spettatori, senza i quali non si fa nessuno spettacolo, e che da perdere hanno solo le loro borsine di tela.
Tanti anni fa Flaiano beffeggiava chi aveva “poche idee, ma confuse”; oggi invece dovremmo diffidare di chi dice di avere le idee chiare, perché quasi sempre ne ha troppe.

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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