Joan Mitchell. Un’artista selvaggia a Colonia

Museum Ludwig, Colonia – fino al 21 febbraio 2016. Joan Mitchell è il volto femminile del movimento dell'Espressionismo Astratto. Siamo nella New York degli Anni Cinquanta, quando si parlava di Action Painting. Oggi al Museo Ludwig è in mostra la retrospettiva dell'artista americana.

DONNE SELVAGGE
Ci sono molte cose oggi che alle donne non è dato essere”, spiega Joan Mitchell (Chicago, 1925 – Vétheuil, 1992) in una videointervista. Il suo volto è in primo piano e lo sguardo naviga da un capo all’altro della telecamera verso la sua interlocutrice. Joan, qui già avanti con gli anni, ha appena finito di raccontare un aneddoto sul suo cane Georges e va avanti a descrivere la sua vita e i suoi dipinti, come in retrospettiva. Cos’è che non è dato essere alle donne? “Savage”, “selvagge”, dice. Donne sopra e fuori le righe.

VIA DA NEW YORK, CON POESIA
A proposito dell’Espressionismo Astratto, di donne si parla solitamente poco. Jackson Pollock, Wilhelm de Kooning, Franz Kline: sono il cartellino da visita del movimento artistico statunitense. A New York, però, negli anni dopo la Seconda guerra mondiale, ai tempi della New York School e dell’Action Painting, c’erano anche le donne. Una di queste si chiamava Joan Mitchell.
Il Museo Ludwig di Colonia presenta quest’inverno una retrospettiva dell’artista statunitense. È in mostra tutto il repertorio classico dell’Espressionismo astratto: pennellate tempestive, a tratti calligrafiche o, al contrario, sfumate; spessi strati di colore che quasi si elevano sopra la superficie della tela. In uno di questi dipinti, Cercando un ago (1957), sembra quasi che la Mitchell abbia voluto fare dell’autoironia: come se fosse possibile ritrovare l’ago perso nel pagliaio, la forma dissolta in una tela dell’espressionismo astratto.
La pittura di Joan Mitchell non è fatta per convivere con la scena urbana di New York. Joan stessa parla delle sue tele come di poesie, che mettono in versi i pensieri dell’artista sulla natura, il paesaggio e il tempo. Negli Anni Settanta, infatti, si trasferisce da New York a Vétheuil, in Francia, dove gli ampi spazi della proprietà in cui vive le concedono di lavorare su tele multiple. Il trittico Closed Territory (1973), ad esempio, è la trasposizione di un paesaggio in ampi rettangoli di colore blu e arancione. Altrove, come in Sunflowers (1990/91), il riferimento alla natura è evidente già nel titolo.
Il paragone tra pittura e poesia non è solo una figura retorica per descrivere la sua opera. Joan Mitchell avrebbe voluto scrivere, prima ancora che diventare pittrice. Il rapporto con la scrittura e la poesia definisce la sua carriera e si esprime in progetti “a quattro mani” come la raccolta di poesie di Nathan Kernan accompagnate da litografie dell’artista (Poems, Tyler Graphics, New York 1992).

Joan Mitchell, Cercando un Ago, 1957 - © Estate of Joan Mitchell, Collection of the Joan Mitchell Foundation, New York, photo Günter König

Joan Mitchell, Cercando un Ago, 1957 – © Estate of Joan Mitchell, Collection of the Joan Mitchell Foundation, New York, photo Günter König

MATURITÀ E INTROSPEZIONE
Verso la fine della sua carriera, la natura cede il posto a temi più introspettivi: Merci (1992) è un titolo ambiguo, che non allude più a luoghi o a soggetti naturali. Il modo di dipingere è cambiato. Lo sfondo bianco della tela è messo a nudo, rimarcato dalle poche pennellate, blu e arancioni, che si compattano al centro. Come parole messe in versi sulla carta bianca, così i due campi di colore fanno poesia sulla tela e alternandosi, formano addirittura un chiasmo.
La pittura della Mitchell non può fare a meno che diventare poesia quando esprime i drammi della sua storia personale: nel 1981 realizza Erdita Fried, un enorme dipinto su quattro tele che porta il nome della sua ex psicoanalista e amica, morta nello stesso anno. Diverse tonalità di blu, indaco e viola si infittiscono in lungo e in largo sulle tele, mentre piano fuoriesce il giallo-arancione che squarcia la superficie della tela all’estrema destra. C’è, in quest’opera, un po’ di quel dolore lancinante, ma bello, proprio della malinconia. Di fronte alle quattro tele c’è il rischio di restare ammutoliti, come dopo aver letto una poesia più volte di fila senza averne capito il senso.
Visitare una mostra, come leggere una poesia, sono infatti passatempi che richiedono pazienza, così come ingenuità. Si scava a fondo nelle tele alla ricerca del significato, per poi rendersi conto che era davanti ai nostri occhi: tra uno o più strati di pittura sovrapposti sulla tela bianca.

Margherita Foresti

Colonia // fino al 21 febbraio 2016
Joan Mitchell Retrospective. Her Life and Paintings
in collaborazione con la Kusthaus Bregenz e la Joan Mitchell Foundation
Catalogo Walther König
MUSEUM LUDWIG
Heinnrich-Böll-Platz
+49 (0)221 22126165
[email protected]
www.museum-ludwig.de

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Margherita Foresti

Margherita Foresti

Nata a Napoli nel 1991, Margherita Foresti compie gli studi in Archeologia e Storia delle Arti presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, laureandosi con una tesi dal titolo “La smaterializzazione dell’opera d’arte: nuovi prodotti artistici e mercato nell’arte…

Scopri di più