Diario d’artista. Il Libano raccontato dal duo bolognese Antonello Ghezzi / 3. La Beirut Art Fair apre al pubblico, i galleristi cercano il collezionista giusto…

Uno sguardo d’artista su un paese affascinante e poco conosciuto, con particolare attenzione al suo mondo dell’arte. Ce lo regala il duo bolognese Antonello Ghezzi, unico invitato dall’Italia – con il supporto dell’Istituto di Cultura Italiano – a partecipare alla Beirut Art Fair nella collettiva Virtual/Reality. Fra palazzi bucati dalla guerra, taxi abbandonati nel traffico […]

Uno sguardo d’artista su un paese affascinante e poco conosciuto, con particolare attenzione al suo mondo dell’arte. Ce lo regala il duo bolognese Antonello Ghezzi, unico invitato dall’Italia – con il supporto dell’Istituto di Cultura Italiano – a partecipare alla Beirut Art Fair nella collettiva Virtual/Reality. Fra palazzi bucati dalla guerra, taxi abbandonati nel traffico e galleriste ottimiste…

Ieri ero immerso nel traffico. Code infinite, ovunque, così finisce che il tassista non ne può più, impazzisce, spegne il motore, esce dalla macchina e ti lascia lì così. Esci anche tu, lui ti guarda e dice che basta, che non vuole i soldi per la strada che fatto finora ma che lui rimane lì. Ok, dico, gli do la mano e mi incammino, ho un appuntamento e sono in ritardo di venti minuti: arriverò in ritardo di quaranta bagnato fradicio di sudore.
Cerco di fare altre foto ma le uniche che mi verrebbe da fare mi vengono impedite da qualche militare. Quelle che riesco a scattare, le faccio dal taxi. Vedo palazzi giganteschi, grattacieli lussuosi, vuoti, disabitati… Uno di questi è più vecchio e non ci stanno lavorando. I buchi di cui è pieno sono i segni della guerra, i segni del passato. Li vedi ogni tanto, ti ricordano dove sei e cosa è successo mentre delle ragazzine sgommano su una Ferrari. Vedi un grande manifesto con il volto di Hariri, ti fermi un attimo a pensare ma i clacson ti riportano alla realtà, ti devi spostare. Continuo a camminare, quartieri cristiani, quartieri musulmani, la guerra, la ricostruzione, i militari, i suv, la signora della tabaccheria che non ha il resto e ti vuole regalare il pacchetto di sigarette, una bottiglia d’acqua 9 dollari. Muoio di caldo e c’è solo questo ristorante nel nulla, sul mare. Solo io e dieci camerieri in livrea. Chiedo una bottiglia d’acqua, mai una bottiglia d’acqua mi è stata servita con così tanta eleganza, ho pagato con la carta di credito, Sukran e arrivederci.
Il giorno della fiera aperto ai non-vip è un po’ più calmo. Inizia alle 15:30 del pomeriggio e verso sera si anima. Arrivano le tv, fanno qualche intervista, parlo tanto, sembra che tutti vivano a Parigi o a Dubai. C’è una gallerista di Chicago che dice che il pubblico di oggi non è quello che compra, è quello che viene a vedere le opere come fossimo in un museo ma quelli che comprano non sono molti, secondo lei, che però non si sa mai, devi esserci comunque perché ne basta uno di quelli buoni per tornare a casa soddisfatti.
Alle 21:30 la voce al microfono dice che la fiera chiude. Stiamo tutti lì a guardare il parcheggio, i cumuli di sabbia nel buio. Al di là dal cassone del camion ci sarebbe anche il mare. Una fila di taxi sta arrivando a prenderci, vedo già le luci dei fanali in code lunghissime verso la città e penso al tassista di oggi, magari è ancora lì, magari ha lasciato lì la macchina e se n’è andato a piedi, via.

Paolo del collettivo Antonello Ghezzi

www.antonelloghezzi.com

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