Immagini e video dalla prima Napoli Arte Fiera. Fra qualche segnale positivo e diversi punti da rivedere, il merito di aver rotto il ghiaccio

BENE AVER ROTTO IL GHIACCIO, ORA SERVE PIÙ SELEZIONE E così, anche Napoli ha avuto la sua fiera. Ma è la fiera che Napoli avrebbe voluto o potuto avere per sé? Indubbiamente, è da premiare la determinazione di rompere il ghiaccio. Fruibile e razionale la gestione interna degli spazi, in due padiglioni gemelli della Mostra […]

BENE AVER ROTTO IL GHIACCIO, ORA SERVE PIÙ SELEZIONE
E così, anche Napoli ha avuto la sua fiera. Ma è la fiera che Napoli avrebbe voluto o potuto avere per sé? Indubbiamente, è da premiare la determinazione di rompere il ghiaccio. Fruibile e razionale la gestione interna degli spazi, in due padiglioni gemelli della Mostra d’Oltremare, recentemente restituita nel suo originario splendore alla città. Dispiace però che gli strumenti organizzativi, rodati da anni di esperienza dei protagonisti, non siano stati impiegati per radunare un parterre capace di rispecchiare la qualità del fermento e dell’apporto con cui Napoli interviene nel dialogo contemporaneo internazionale. L’elettricità che si respira nella città del fu Lucio Amelio, di Lia Rumma, Alfonso Artiaco, del Madre e della Metro dell’arte, dotata di incisiva storia galleristica e nuove acute leve di ricerca quali Fonti o Di Marino, un forse circoscritto ma tenace collezionismo, un pubblico ormai in via di incuriosito svezzamento, un circuito di addetti ai lavori non propriamente indifferente, stenta a riconoscersi nella selezione proposta da Napoli Arte Fiera.

EPISODI INTERESSANTI, CONTESTO ANCORA ASFITTICO
Gli episodi interessanti, o almeno dignitosi, si rinvengono nelle proposte established di nomi storici o storicizzati, come da Ca’ di Fra’, Andrea Ingenito, Real Arte, Cardelli & Fontana, Caiafa, Deodato Arte, o nel focus collaterale su Andy Warhol – anche se lascia perplessi la volontà di riproporre un nucleo di opere già visto in città appena un anno fa nella retrospettiva del PAN – ma non è forse propriamente l’atmosfera da asta o museo storici quella che si desiderava nella prima fiera di contemporaneo a Napoli. Rare boccate di frescura, come da Fabbrica Eos con Robert Gligorov, da Primo Piano con Roxy in the Box, nel brioso stand d’artista – a opera di Mary Cinque – del dinamico giovane media partner Racna, nel focus collaterale su Betty Bee a cura di Ciro Delfino e Raffella A. Caruso, nella levità sorridente di Antonio Cervasio da Romberg o nel virtuosismo intrigante di Enrico Cattaneo da Officinelleni, non forniscono sufficiente ossigeno in un contesto generale risultante asfittico per le potenzialità propulsive partenopee.

COMUNICAZIONE NON CONVINCENTE, POCHE LE VENDITE
E anche più confidenze da noi raccolte fuori camera o meglio in camera caritatis su riscontri di vendita o pubblico, al di là di pochi esempi soddisfatti e della istituzionale fiducia degli organizzatori, riscontrano una fiacchezza imputata forse a una comunicazione non convincente. Magari non è questa la mostra che Napoli avrebbe voluto, e certo non è la migliore che avrebbe potuto, ciò nonostante è un inizio, col merito non indifferente del coraggio pionieristico e la perspicacia di aver captato un gap e una potenzialità.

– Diana Gianquitto

 

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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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