Biennale di Venezia. Il padiglione dell’Ungheria raccontato da Szilárd Cseke

Szilárd Cseke, i suoi oggetti cinetici e la sua installazione sonora. Un progetto che si preannuncia come una traccia, una linea che intercorre tra il destino e il contesto economico. Ed è così che l’Ungheria si presenta alla Biennale di Venezia edizione 2015.

Lo sguardo mutevole del fato indica a ciascuno un destino che non può essere predetto. Questo effetto immaterialmente caotico è anche più potente per coloro che lasciano la propria casa e le proprie radici, in cerca di una nuova vita in un altro Paese. Miriadi di fattori determinano il successo o il fallimento di ogni tentativo di immigrazione, dalle persone incontrate lungo il cammino alle opportunità offerte o mancate.
Cosa c’entri tutto questo con il Padiglione dell’Ungheria alla Biennale di Venezia ce lo siamo fatti spiegare dall’artista Szilárd Cseke (Pápa, 1967; vive a Budapest).

Cosa sono le Sustainable identities?
Il concept della mostra è stato sviluppato assieme a Kinga German: è un progetto che ironicamente riflette sulle nozioni chiave del nostro mondo, oggi ridotto a slogan invitanti. Questi pensieri ruotano attorno ai temi del cambio d’identità e della sostenibilità. È abbastanza inusuale combinare questi due temi, che offrono una varietà di interpretazioni tanto fresche quanto ironiche. L’installazione provoca il visitatore sulla questione che ciascuno di noi sceglie di mettere in luce quando si tratta di identità e se questa possa essere, in un certo senso, sostenibile.

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 - graphic design by Brigitta Nachtmann and Szilárd Cseke

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 – graphic design by Brigitta Nachtmann and Szilárd Cseke

Provoca il visitatore in che senso?
Verrà ricreato una sorta di spazio cognitivo, un’atmosfera ideale per la meditazione, grazie a un’installazione sonora che dà il benvenuto. Ma poi… i visitatori attraverseranno uno spazio simmetrico, all’interno del quale la seconda sezione si presenterà come una parte specchiata della prima; e seguendo il percorso diventerà sempre più chiaro che gli stessi motivi, gli stessi elementi visivi si presentano e si ripresentano. Però, allo stesso tempo, il cambiamento di ambiente modificherà le sembianze degli elementi ricorrenti che riflettono sul come le identità che noi consideriamo stabili siano temporanee.
Le prime due parti della mostra evocano idee che verranno espresse nello spazio interattivo. Quest’ultimo metterà i visitatori in condizione di rivelare l’eterogeneità delle loro identità.

Quali territori hai attraversato per comporre il progetto?
Durante una delle mie recenti personali, We are moving aboard, ho reso cruciale il ruolo dei suoni in uno spazio espositivo. La mostra era allestita in un edificio sacro. Pertanto le caratteristiche acustiche dello spazio hanno una potenza intensa. Il coinvolgimento psicologico dei suoni, creato dal moto dei miei oggetti mobili nello spazio, ha beneficiato sull’impatto generale dell’installazione. Per questo motivo ho incrementato il ruolo dei suoni nel progetto per la Biennale.

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 (particolare) - photo Máté Lukács

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 (particolare) – photo Máté Lukács

Il tuo progetto è totalmente inedito o proviene da precedenti  linee di pensiero?
Vent’anni fa, quando mi stavo laureando, mi venne offerta una personale alla galleria dell’Università di Belle Arti di Budapest. Era la prima volta che mostravo un mio oggetto mobile. L’opera trasmetteva il tema dei cambiamenti di identità suscitati dai cambiamenti forzati dalla vita quotidiana. Come molti giovani artisti, ho creato quell’oggetto anche per una forma di rispetto nei confronti del mio tutor, che aveva fatto ritorno in Ungheria a seguito di un’emigrazione parigina dopo la caduta della Cortina di ferro.
Da allora ho sempre trattato soggetti simili: molti dei miei lavori sono incentrati sulla migrazione e quindi riflettono sui cambi d’identità. Comunque, la migrazione nei miei lavori più recenti appare causata meno da condizioni politiche e più da motivi economici. Un fenomeno particolare dell’Unione Europea, apparso nei Paesi che sono stati annessi recentemente all’Europa, da dove la gente emigra.

Il tuo lavoro che tipo di scenario visivo conferirà al Padiglione ungherese?
L’installazione presenta un sistema globale che può essere interpretato in molti modi: sarà compito dello spettatore personalizzarlo. Invece di determinare un’atmosfera, creo uno spazio chiaro, trasparente per il pubblico, con l’intenzione di pensare per quale scopo siano state costituite le loro identità e come queste possano essere differenti da una più globale identità collettiva.

Szilárd Cseke, Good Shepherd, 2013 - courtesy of the Ani Molnár Gallery

Szilárd Cseke, Good Shepherd, 2013 – courtesy of the Ani Molnár Gallery

Cosa ne pensi del padiglione in cui stai allestendo il tuo progetto?
Non è un white cube e non è l’ideale per una mostra d’arte contemporanea. Ma, attraverso piccole alterazioni, abbiamo utilizzato le sue difformità a nostro vantaggio. Il cortile interno, che ha sempre rappresentato una sfida per chi espone, sarà dedicato alla sezione interattiva: è ideale perché centrale e allo stesso tempo separato dallo spazio espositivo. Anche l’installazione sonora è allestita in uno spazio che normalmente non funziona molto bene per presentare i lavori ma, a causa degli echi che produce, è perfetto per un’installazione del rumore.

Visivamente di che cosa faremo esperienza?
Gli spazi eterogenei dell’edificio saranno unificati dagli oggetti mobili, i quali creeranno un continuum da un’area all’altra. Anche gli oggetti mobili rafforzano la natura simmetrica dello spazio. Quindi ai visitatori verrà offerta una esperienza divergente e, allo stesso tempo, unitaria. Tanta diversità nascosta nella vastità dello spazio espositivo rifletterà anche sul tema delle identità collettive e dei confini di quella individuale.

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 (particolare) - photo Máté Lukács

Szilárd Cseke, Sustainable Identities, 2015 (particolare) – photo Máté Lukács

Secondo quali aspetti il tuo percorso si riconnetterà, al tema principale posto da Enwezor, All the World’s Futures?
Tematiche sociologiche inerenti al concetto di migrazione sono sempre state al centro della mia pratica artistica, e sono fortemente legate al tema proposto da Okwui Enwezor.

Potresti esprimere un pensiero o formulare un augurio che accompagni i visitatori al Padiglione ungherese?
Venite per personalizzare la vostra identità taglia-unica.

Ginevra Bria

www.velenceibiennale.com

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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