Bogotà: arte e disuguaglianze

Un reportage per conoscere una realtà in pieno fermento, a fronte di una società segnata da una profonda sperequazione sociale ed economica. Dal nostro inviato speciale Massimo Mattioli.

La prima sensazione dei profondi contrasti che caratterizzano la Colombia e la sua capitale, Bogotà, si percepisce subito, all’uscita dall’Aeroporto Internazionale El Dorado. Siamo in prossimità dell’Equatore, alla stessa latitudine – per dare un’idea – del Camerun e della Repubblica Centrafricana: ma il clima è stranamente temperato, riequilibrato dall’altitudine di 2.640 metri sul livello del mare, con una temperatura che oscilla tra i 5 e i 20 gradi, con una media annuale di 13. Una contrapposizione di forze naturali che crea una palpabile atmosfera di continua tensione, di surreale instabilità, di repentini cambiamenti, una luce metafisica, quasi minacciosa.
È questa l’introduzione alla città degli estremi, che torna a manifestarsi subito, quando dal quartiere di Fontibón ci si avvicina verso il centro: perché Bogotà, divisa in venti quartieri (localidad), non è una città, ma almeno quattro città diversissime che si incontrano, si allontanano, si inseguono, si confondono. Ancora contrasti: La Candelaria, città vecchia popolata da edifici bassi multicolorati in stile coloniale spagnolo e da chiese barocche, è sovrastata dai 161 metri dell’Avianca Building, grattacielo che nel 1969, quando fu inaugurato, era il più alto in Sudamerica. Pochi viali e ci si trova a Chapinero, zona residenziale delle classi più agiate, grandi ville vittoriane che riflettono l’influenza degli stili architettonici europei, ma anche centro della comunità gay di Bogotá. Poco più in là c’è Teusaquillo, e cambia ancora tutto: zone verdi, parchi, ampi viali, con il campus dell’Università Nazionale di Colombia. Basta fermarsi a guardare i passanti e un altro contrasto – più profondo di quel che potrebbe apparire – sfila davanti agli occhi: quello etnologico, con una popolazione che è un mix di quattro ceppi indigeni assai diversi, ancora orgogliosamente gelosi delle proprie specificità. Ma il contrasto più attuale, più odioso, più difficile da accettare, perché potenzialmente superabile, è quello economico: un’incolmabile sperequazione fra pochissimi ricchi, molto ricchi, e gli oltre 33 milioni di colombiani, su una popolazione stimata di 43, che vivono tra la povertà e la miseria. Il 20% di essi ha un reddito quotidiano di 1 dollaro, il 68% non supera i 2,1 dollari. Con un PIL nazionale che – estremo paradosso – nel 2014 segna un +4,5%.
È questo il quadro sul quale si innesta uno scenario culturale e artistico ricchissimo e – ovviamente, viste le premesse – molto variegato, con un rispetto per la sfera spirituale diffuso, in diverse modulazioni, a tutte la fasce sociali, di grande valenza etica. Una realtà che indusse Alexander von Humboldt, naturalista, esploratore e botanico tedesco che visitò Bogotá attorno al 1800, a parlare della città come di “Atenas sudamericana”. Oggi a sostanziare queste speculazioni c’è un fiorire di istituzioni, un vivace ambiente universitario, biblioteche, archivi, teatri storici, un articolatissimo sistema museale, forte di una sessantina di strutture, alcune recentissime.

Bogotà - Plaza de Bolivar

Bogotà – Plaza de Bolivar

Il principale polo culturale della città si trova nel quartiere de La Candelaria, centro storico della città. E il “centro del centro” è la celebre Plaza de Bolivar, la vera agorà della nazione, teatro di eventi politici e di manifestazioni sociali. Che, come spesso accade nelle strutture urbanistiche cresciute in simbiosi con gli sviluppi storici, diventa fulcro dei diversi poteri: se il lato est è dominato dalla cattedrale, a nord si trova il Palacio de Justicia, sede della Corte Suprema, a ovest il palazzo del sindaco di Bogotá, a sud il Capitolio Nacional, che ospita le due camere del Congresso della Colombia.
Ed è nella Candelaria che si dispiega anche il predominio – a livello di istituzioni culturali – del Banco de la Repubblica, la banca nazionale colombiana: che anche oggi mantiene un protagonismo che ha pochi eguali a livello mondiale. Sua è – per fare un esempio – la Biblioteca Luis Angel Arango, la biblioteca più visitata di tutta l’America Latina, ricca di oltre 1,1 milioni di libri. Ma il fiore all’occhiello del Banco de la Repubblica – che sta strutturando anche un’importante collezione di arte contemporanea – è il celebre Museo del Oro, che conserva la maggiore collezione di reperti precolombiani al mondo. Oltre 55mila pezzi in oro, rame, ceramica, pietra, legno, disposti nei tre piani dello spettacolare edificio affacciato su plaza de Santander ristrutturato nel 2008, che però paga criteri allestitivi un po’ datati e scelte che privilegiano l’approccio didattico e comunicativo rispetto a quello scientifico.
L’antico quartiere coloniale è però il posto giusto dove abbandonare gli itinerari classici per scoprire gioielli nascosti: un esempio? La piccola Iglesia de San Francisco, oggi la più antica chiesa conservata a Bogotà, custode di una religiosità popolare tanto profonda quanto privata, quasi celata, retaggio di rigori gesuitici altrimenti legati a violenze e sopraffazioni; indimenticabile il retablo dorato costruito fra il 1611 e il 1623.
Quando si passa a riflettere sugli scenari dell’arte contemporanea, riemergono vivide e plasticamente percepibili le profonde diseguaglianze sociali colombiane. E non tanto per la drastica contrazione selettiva di chi li anima, quegli scenari: il contemporaneo è universalmente materia per pochi, rispetto all’arte antica o moderna. Ma perché i ricchissimi collezionisti rappresentano la categoria di “attori” probabilmente più avanzata, qualitativamente sostenuta da preparazione personale, disponibilità economica adeguata e giusti contatti internazionali. Il collezionista d’arte contemporanea di Bogotà costruisce la sua casa attorno alla collezione e coglie le occasioni giuste per mostrare con orgoglio i suoi tesori: come è accaduto di recente al pubblico internazionale giunto in città in occasione del decennale della fiera ArtBo. Mediamente – almeno in quattro o cinque casi – il “museo privato” si struttura così: abitazioni che riuniscono gli ultimi tre piani di un lussuoso palazzo signorile, preferibilmente con veduta aerea sulla metropoli; e il piano intermedio di queste fortezze dell’arte interamente dedicato all’esposizione.

Avianca Building, Bogotà

Avianca Building, Bogotà

A volte la collezione diventa compulsione“, confessa Sergio Ferreira, uomo d’affari arricchitosi con un’azienda che importa e distribuisce forniture per le “crime-scene investigation”. “Penso che l’idea di base non debba essere quella di acquistare per diversificare gli investimenti: io compro perché mi piace“. Le sue prime due opere acquisite, alla fine degli Anni Ottanta, furono un Sydney Helfman e un Alexander Calder. Oggi, anche se gli piace rischiare e sostenere giovani creativi, per lui è importante sapere che l’artista ha avuto significative esperienze, e soprattutto intravedere la sua proiezione. Anche se ha attraversato momenti figurativi o astratti, ora le sue scelte privilegiano l’arte contemporanea latino-americana, senza disdegnare qualche escursione verso l’Europa o gli Stati Uniti. Entrando in casa, colpisce l’accumulazione di Brillo Box dello spagnolo Javier Arce, mentre il passaggio per il roof top è segnato dalla scultura di ruote di bicicletta del venezuelano Jorge Pedro Nuñez. Fra cucina, toilette e camere da letto, tanti lavori del campione colombiano Miguel Angel Rojas, del cubano Carlos Garaicoa, del cileno Patrick Hamilton, dello spagnolo Bernardí Roig, del brasiliano Ernesto Neto, dell’americano Robert Levine.
Scenari non troppo dissimili, e sfarzo molto simile, con le collezioni delle famiglie Bar-On, Lorenzo Kling, Nayib Neme e Claudia Hakim, mentre nella reggia di José Darío Gutiérrez, 60enne proprietario, a detta di molti, della migliore collezione privata di arte colombiana, l’atmosfera cambia: luci soffuse, collezione con lavori anche monumentali sempre di arte sudamericana, ma qui presentate in dialogo con opere antiche.
Se l’ambito collezionistico gode di una sua fisionomia ben definita e assai identitaria, l’anello forse più debole dell’artworld della capitale è quello delle gallerie d’arte. Difficile generalizzare, con un panorama che comunque conta oltre sessanta spazi: eppure raramente le gallerie riescono a emanciparsi da un certo provincialismo, che trova le sue radici nella scarsa adesione al “giro” internazionale, e nell’indugiare su tanti artisti che si attardano nella stanca adesione a quelli che sono ormai vecchi cliché della creatività continentale, su tutti l’impegno sociale ed ecologista. Certo, ci sono segnali di un’inversione di tendenza che non mancherà, sulla scia di un sistema che comunque appare in crescita: non sarà di poco conto, per esempio, il fatto che l’edizione 2015 di Arco, la fiera di Madrid, vedrà la Colombia come ospite d’onore.
Così come virtuosa appare potenzialmente la creazione di un nuovo distretto nella zona del Barrio San Felipe, area di piccole case popolari fino a qualche anno fa abbandonate e ora proposto come quartiere dell’arte con diverse gallerie commerciali, da Doce Cero Cero a Cobico dall’Instituto de Visión fino alla galleria non profit Flora ars+natura, strutturato progetto che è anche sede di studi d’artista e archivio visuale. Taglio progressivo sembra avere anche la Fundación MISOL – e qui torniamo dentro le strette viuzze della Candelaria –, organizzazione senza scopo di lucro che come mission dichiara di voler puntare sulla “qualità come modo per generare processi di miglioramento”: certo l’impalpabile e velleitaria mostra che abbiamo visto richiede sensibili correzioni di rotta… “All’ambiente manca molto il sostegno istituzionale”, lamenta Luis Fernando Pradilla, direttore della storica Gallería el Museo. “In Colombia oggi non c’è alcun tipo di supporto, gli eventi sono sempre gli stessi, per di più riservati a pochi eletti. Gli artisti però devono capire che la crescita passa dall’interscambio internazionale, qui l’ambiente è molto difficile, non è sufficiente il talento individuale”.

Bogotà vista da casa Bar-on

Bogotà vista da casa Bar-on

Non mancano comunque istituzioni che iniziano a impegnarsi per sostenere il contemporaneo, anche se la loro “ragione sociale” è altra. È accaduto, in concomitanza con la fiera ArtBo, con il Museo de Arte dell’Universidad Nacional de Colombia, che ha allestito la mostra Selva Cosmopolitica: solito taglio politico-ecologico, per sensibilizzare il pubblico alle ampie problematiche dell’area amazzonica, giacimento di tradizioni primigenie e allo stesso tempo oggetto di mire capitalistiche; tra gli artisti presenti, Miguel Ángel Rojas, Abel Rodríguez, Fabián Moreno. Ed è accaduto con il nuovissimo edificio dell’Archivio de Bogotà, con l’intensissimo progetto En nuestra pequeña región de por aca dell’artista cilena Voluspa Jarpa, a cura della stessa fiera e della galleria parigina Mor Charpentier. Come nell’ormai conosciuto Dna dell’artista, vincitrice dell’edizione 2012 del Premio illy Sustain Art ad Arco, l’elaborata installazione pluripartita denunciava forte risonanza politica, prendendo come punto di partenza sono documenti d’archivio di agenzie di intelligence, che Voluspa Jarpa scopre e tenta di decifrare.
E gli artisti? Non sembrano aver troppo a cuore le sorti della creatività nella madrepatria, almeno i più celebri, da Doris Salcedo a Oscar Murillo. Diverso il discorso per il “divo” Fernando Botero, che ha donato a Bogotà un ricco corpus delle sue opere storiche, oggi conservate nel centralissimo Museo Botero, che espone anche artisti come Monet e Picasso provenienti dalla collezione privata di Botero. “I giovani artisti dovrebbero usare molto di più Internet, l’Europa è piena di borse di studio e molte vengono perse perché manca l’informazione”, suggerisce Hugo Carrillo, artista colombiano che ora vive a Zurigo.
In una realtà dalle così evidenti problematiche sociali come quella colombiana, non poteva non fiorire diffusa pratica della Street Art, favorita dalla derubricazione dei graffiti da “reato” a “violazione”. Supporto preferito, l’eclettico quartiere della Candelaria, i cui vicoli sono per esempio percorsi in più parti da un serpentone opera di Crisp, che a Bogotà si è proprio trasferito dal 2009.
Chi si propone come elemento di incontro, di raccordo e di coordinamento di queste diversissime anime è proprio ArtBo, la fiera d’arte contemporanea di Bogotà: con una settantina di gallerie presenti, con i migliori player sudamericani – brasiliani in special modo –, con grande presenza di madrilene (da Max Estrella a Travesía Quatro), con buone rappresentanze internazionali, americane, svizzere, olandesi, e persino una italiana, la bolognese P420. È la giovane e arrembante direttrice María Paz Gaviria Múñoz [vedi box] a tirare le fila, forte di un successo che lei per prima ha saputo trasformare in affermazione internazionale. Gli ori precolombiani e i retabli secenteschi sono lontani: oggi le nuove strade delle arti le tracciano economia e mercato…

ARTBO COMPIE DIECI ANNI. PARLA MARÍA PAZ GAVIRIA MÚÑOZ
Determinata, ostinata, sicura delle sue scelte e decisa a guidare la new age colombiana nel contemporaneo. Parla María Paz Gaviria Múñoz, giovane direttrice della fiera ArtBo, che ha portato a 66 il numero delle gallerie coinvolte, provenienti da 36 città, con una prevalenza di operatori di area latina, una quarantina di gallerie sudamericane, fra cui 14 colombiane e 7 brasiliane; ma anche oltre 10 galleristi nordamericani e 18 europei, di cui la metà spagnoli. Ha introdotto molte novità, fra le quali un progetto dedicato al rapporto fra arte e design, oltre a un’interessante mostra storica, premessa educativa e visiva a quello che i visitatori troveranno fra gli stand. Si deve a lei anche la creazione dello spazio ArteCamera, un sostegno concreto per i giovani artisti colombiani al debutto o comunque non ancora legati a gallerie, ai quali garantisce un primo contatto con il mercato. Ma la sua mission è più ambiziosa: ne parla in questa intervista.

Come si pone ArtBo nel contesto delle altre fiere latino-americane?
ArtBo è la fiera d’arte dalla Camera di Commercio di Bogotà, ma non vuole certo accettare la definizione di fiera dell’arte latino-americana. Al contrario, vuole proporsi come strumento utile agli artisti colombiani per proiettarsi verso l’ambiente internazionale, e allo stesso tempo vuole richiamare in Colombia una rappresentanza sempre più significativa del mondo dell’arte globale.

Urban Art in Bogotà

Urban Art in Bogotà

A quale collezionismo fa riferimenti la rassegna? Nazionale, sudamericano o internazionale?
La fiera deve soddisfare tutte le aspettative. Ai collezionisti colombiani deve permettere di osservare un panorama più ampio possibile, e questo lo fa con un 80% circa delle gallerie presenti, che sono internazionali, che vengono qui per presentare il proprio lavoro al collezionisti, alle istituzioni, alla scena artistica colombiana. Poi però il nostro interesse è anche quello di invitare da tutto il mondo collezionisti, curatori, direttori di museo, giornalisti per far conoscere loro quello che succede nel mondo dell’arte nazionale.

Tutta la città partecipa a sostenere la fiera che lei dirige con eventi, mostre, presentazioni, anche feste. Qual è il rapporto che Artbo è riuscita a instaurare con il mondo dell’arte, sia istituzionale che privato?
Fino a un paio di anni fa, gli eventi che esistevano in città erano disorganici, con una cadenza biennale: era un tipo diverso di approccio. Ora puntiamo a rappresentare il grande momento delle arti plastiche a livello nazionale: ArtBo è riuscita a raccogliere attorno a sé tutte le diverse componenti dell’ambiente artistico, trasformando a Bogotà il mese di ottobre in un mese dell’arte. Al punto che a margine sono nate altre quattro fiere parallele, pronte a offrire nuove proposte ai tanti visitatori che arrivano in quei giorni in città.
L’idea della Camera di Commercio, con il sostegno alla nostra rassegna, è proprio quella di alimentare il fermento legato alle arti, non soltanto per gli aspetti commerciali, ma anche per quel che riguarda l’educazione, la formazione, l’appoggio ai giovani artisti. L’esempio è la nuova sezione ArteCamera, dedicata a giovani creativi con meno di quarant’anni non ancora rappresentati da gallerie: una piattaforma per esprimersi davanti ad una platea nazionale e internazionale.

Crede che ArtBo sia sulla buona strada per diventare la guida di tante forze finora scoordinate?
Siamo molto incoraggiati in questo ruolo: la fiera quest’anno ha praticamente raddoppiato i visitatori e, soprattutto, ha raddoppiato i visitatori internazionali. Ci sono nuovi collezionisti, nuove sezioni, nuove piattaforme, si percepisce moltissima energia, si constata come sta cambiando la scena…

www.artboonline.com

DAL XVI AL XXI SECOLO: L’ARTE DEL BANCO DE LA REPÚBLICA
Un’istituzione che, per ragioni diverse, ha legato da sempre il suo nome, e anche la sua immagine, la sua etica pubblica, alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio artistico, non può interporre cesure a questo percorso. Lo ha fatto per tutta la sua storia, per la disponibilità finanziaria, certamente, in un Paese storicamente depresso come la Colombia, il cui dinamismo economico è cosa degli ultimi anni. Ma l’ha fatto anche per le scelte virtuose dei responsabili, capaci di legare il nome di quella istituzione – cosa non così comune, inesistente per esempio in Italia – ad azioni di bene collettivo durevoli nel tempo.
Parliamo del Banco de la República, la banca nazionale colombiana: promotrice (e finanziatrice) di fondamentali istituzioni culturali, in primis il celebre Museo del Oro. Ma questo impegno, si diceva, non può subire stop, e non li subisce: al 1957 risale infatti la creazione della Colección de Arte del Banco de la República, con l’acquisizione di tre opere: Mandolina sobre silla di Fernando Botero, Ángel volando en la noche di Cecilia Porras e El Dorado #2 di Eduardo Ramírez Villamizar, pezzi inclusi nella mostra Salón de Arte Moderno organizzata dalla Banca nella Biblioteca Luis Angel Arango, allora appena inaugurata.
L’impulso principale per creare queste collezioni”, ha precisato José Darío Uribe, direttore generale della banca nei primi anni del XXI secolo, “non è mai stato il desiderio di accumulare, ma l’interesse di preservare e mettere a disposizione di tutti i colombiani opere che potessero contribuire alla loro crescita intellettuale”.

Cecilia Porras, Ángel volando en la noche

Cecilia Porras, Ángel volando en la noche

Appartiene alla Colección de Arte del Banco de la República, ed è ospitata dallo stesso edificio, anche il Museo Botero, che espone oltre 120 pezzi dello stesso Botero, oltre a 87 opere di artisti internazionali. Tra questi, cinque di Pablo Picasso, due tele a olio di Georges Braque, un dipinto e due disegni di Fernand Léger, due dipinti di Pierre Auguste Renoir; e poi pezzi di Edgar Degas, Henri de Toulouse-Lautrec, Claude Monet, Camille Pissarro, Joan Miró, Pierre Bonnard, Marc Chagall, Alberto Giacometti, Max Beckmann, Francis Bacon, Willem de Kooning, Robert Rauschenberg, Antoni Tàpies. La sezione disegni comprende fogli di Gustav Klimt, Georg Grosz, Balthus.
Nei decenni la raccolta è cresciuta fino a contare di più di 5mila opere rappresentative di artisti colombiani, latino-americani ed europei. Ma dal 2013 è iniziato un nuovo riallestimento della collezione, con cinque diversi curatori indipendenti – Beatriz Gonzalez, Jaime Borja Alvaro Medina, Carmen María Jaramillo, Sylvia Suarez Carolina Ponce de León e Santiago Fajardo Rueda – che hanno proposto una nuova lettura di qualcosa come 800 opere di 250 artisti diversi, alcuni dei quali arrivati come nuove acquisizioni. Dalla pittura alla scultura, dalla fotografia all’installazione, nuovi percorsi presentati in sedici sale espositive della ex sede della Zecca di Bogotá. Non mancano scelte estreme ma energetiche, come i paesaggi di Paul Gauguin e del colombiano Andrés de Santa Maria contrapposti all’idea di paesaggio contemporaneo del brasiliano Vik Muniz; o la serie di ritratti coloniali di monache coronate poste a contrasto con l’Omaggio a Santa Teresa (2009) di Marina Abramovic.
Il primo curatore a intervenire sulle collezioni ha lavorato su opere che vanno dal XVI al XVIII secolo, sottolineando il rapporto dell’America coloniale con il resto del mondo. Tra le altre opere incluse nel percorso, una Madonna col Bambino di Giovanni Francesco Maineri, del 1497, la più antica opera del nuovo progetto espositivo. A livello internazionale sono stati coinvolti artisti del calibro di Jan Brueghel il Giovane, Pedro Figari, Armando Reveron, Rufino Tamayo, Joaquín Torres García, David Alfaro Siqueiros, Julio Alpuy, Wilfredo Lam, Julio Le Parc, Jesús Rafael Soto, Carlos Cruz Diez, Gyula Kosice, Chuck Close. Fra gli artisti più legati alla contemporaneità, spazio a Doris Salcedo, Guillermo Kuitca, Carlos Garaicoa, Teresa Margolles, Miguel Angel Rios, Cildo Meireles, Gabriel Orozco.

Massimo Mattioli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23

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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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