Charlie Hebdo, una settimana dopo. Il giornale satirico torna in edicola e non rinuncia al suo taglio corrosivo. Ancora Maometto in copertina

Reazione. Una delle parole che abbiamo usato, al margine della grande marcia di Parigi, per commentare l’epilogo del terribile attentato che ha colpito il settimanale satirico Charlie Hebdo, lo scorso 7 gennaio. Ha reagito il popolo francese, sceso in piazza per difendere l’irrinunciabile principio della libertà d’espressione. E ha reagito la redazione, orfana del suo […]

Reazione. Una delle parole che abbiamo usato, al margine della grande marcia di Parigi, per commentare l’epilogo del terribile attentato che ha colpito il settimanale satirico Charlie Hebdo, lo scorso 7 gennaio. Ha reagito il popolo francese, sceso in piazza per difendere l’irrinunciabile principio della libertà d’espressione. E ha reagito la redazione, orfana del suo direttore e di sette colleghi, giornalisti e vignettisti, massacrati per mano dei due terroristi islamici. Reagire, nonostante la disperazione; la stessa che sgorgava con le lacrime di Patrick Pelloux – medico di pronto soccorso, da anni collaboratore del gruppo – intervenuto in uno studio televisivo all’indomani della tragedia e domenica scorsa crollato fra le braccia del Presidente Hollande, come un bambino spaurito. Le sue parole, impastate col pianto, sono state di fermezza e di volontà: “Il giornale continuerà, perché loro non hanno vinto. Charb, Cabu, Wolinski, Bernard Maris, Honoré, Elsa, Tignous, Mustapha, il poliziotto che aveva in carico la nostra sorveglianza e che è stato ucciso, non sono morti per niente. Non c’è nessun odio per i musulmani. E ognuno, nel suo quotidiano, deve far vivere i valori della Repubblica”.
Per un giornale come Charlie Hebdo la difesa di quei valori passa, ancora una volta, dalla satira, dalla provocazione, dall’informazione, dall’ostinata necessità di svincolarsi dal potere, di predicare la laicità e di far saltare le ipocrisie. Anche a costo di rischiare la pelle.

Mercoledì 14 gennaio Charlie torna in edicola. Un numero scritto con la rabbia, il più difficile di tutti questi anni in trincea. Il numero degli orfani e dei sopravvissuti: commemorativo, ma senza piagnistei. Lo stesso di sempre, come se la famiglia fosse ancora tutta lì, a lavorare. L’anteprima della copertina è stata diffusa lunedì sera. La firma Luz. Al centro c’è Maometto, in lacrime, con un cartello in mano: “Je suis Chrlie”. Sopra, una scritta amara: “Tutto è stato perdonato”.
Quest’edizione speciale, stampata in tre milioni di copie e in 16 lingue, passerà alla storia. Anche in Italia la si potrà recuperare, allegata al Fatto Quotidiano di mercoledì. “Non cederemo su nulla e ci saranno ovviamente delle vignette su Maometto, ha spiegato  Richard Malka, legale della rivista. “Lo stato d’animo ‘Je suis Charlie’ significa anche diritto alla blasfemia”.
E l’unica conclusione – banale, ma anche agghiacciante – è che l’atroce stupidità degli attentatori è costata la vita a nuovi innocenti ma non è servita e non servirà a niente. Nessuno piegherà la testa. Nessun Califfato verrà, a imporre le sue leggi, a indottrinare o a schiavizzare l’Occidente. Ma nel frattempo, prima che questo concetto sia chiaro agli offensori, quanti altri Stephane Charbonnier, Georges Wolinski, Cabu, e poi Kurt Westergaard, Theo Van Gogh, Ayaan Hirsi Ali, Salman Rusdie, dovremo ancora guardare a vista o seppellire?

– Helga Marsala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

Scopri di più