A scuola sottoterra. Intervista con Claudio Lucchin

È la prima scuola ipogea italiana. E a guardare gli spazi interni si fa fatica a credere siano sotterranei. Un caso unico che, data la situazione dell’edilizia scolastica nel nostro Paese, sembrerebbe irripetibile. A progettarla lo studio bolzanino Cleaa che, per l’ampliamento della Hanna Arendt della propria città, ha scelto di non consumare il suolo ma sfruttare il sottosuolo. Di questo progetto e del neoinaugurato termovalorizzatore di Bolzano abbiamo parlato con il fondatore dello studio, Claudio Lucchin.

Una breve auto-presentazione. Chi è Claudio Lucchin?
Sono un architetto della generazione di mezzo – nato a Bolzano nel 1959 – che nel 2004 ha rifondato lo studio, associando alcuni stretti collaboratori, per trovare soluzioni inusuali ai problemi complessi dell’insediamento urbano, mettendo sempre l’uomo al centro del progetto. Abbiamo anche cercato di evitare, per quanto sia possibile in questa nostra società, gli effetti speciali, spesso ricercati solo per fare colpo sulle riviste d’architettura.

Il vostro studio ha progettato la prima scuola ipogea d’Italia, la Hanna Arendt a Bolzano. Raccontaci come è andata.
L’iter progettuale, durato oltre tre anni, ha visto vari incontri con l’utenza per preparare l’assenso da parte di professori e studenti, varie polemiche sui giornali e i “bastoni fra le ruote” di vari funzionari pubblici, scettici sull’esito finale. Anche il cantiere, durato meno di due anni, ha richiesto impegno, creatività e approccio innovativo per trovare soluzioni tecnologiche capaci di portare molta luce nei piani bassi senza surriscaldare gli ambienti e di isolare le pareti controterra, mantenendo però l’aspetto visivo dello scavo. A un certo punto dei lavori abbiamo avuto la netta sensazione di essere rimasti soli; nessuno voleva condividere con noi il possibile fiasco. Il risultato finale ha sorpreso tutti positivamente, compreso noi.

Dici spesso che la nostra attuale cultura ha completamente dimenticato come utilizzare proficuamente il sottosuolo per le proprie attività. Secondo te perché?
Perché nella società dei consumi e della comunicazione quello che non si vede non esiste e, quindi, non si vende. Vi è la competizione a fare i grattacieli sempre più alti, anche se sono degli assurdi urbani, sia in termini ambientali che di sicurezza, ma nessuno pensa a fare delle città sotterranee, che sarebbero molto più sostenibili sia in termini energetici che di qualità di vita. Nel mondo, il consumo di suolo è quasi arrivato al limite fisiologico e se vogliamo continuare a costruire, oltre a ricostruire sul già edificato, ci resta la possibilità di utilizzare meglio il sottosuolo, che ci offre delle condizioni di vita di massima serenità, perché “madre terra” ci accoglie sempre benevolmente.

Scuola Arendt - foto photo Alessandra Chemollo

Scuola Arendt – foto photo Alessandra Chemollo

Quali sono gli elementi positivi, e negativi, di realizzare strutture ipogee?
Uno degli aspetti più interessanti è sicuramente il risparmio di suolo. Possiamo lasciare intoccati i vuoti urbani e insediare importanti funzioni sotto di essi, contemperando la necessità di crescita delle nostre città con la fisiologica tutela dei vuoti, che sono indispensabili per il mantenimento di una qualche qualità urbana. Gli elementi di difficoltà riguardano le normative, non adatte per queste sperimentazioni, e il nostro modello culturale che tende a cancellare tutto ciò che non è molto visibile, tutto ciò che non “urla”.

Guardando gli spazi interni della scuola sembra difficile credere siano ipogei. Come siete riusciti a ottenere questo effetto?
Portando all’interno molta luce naturale attraverso vari lucernari distribuiti su tutti i lati dell’edificio e da corte centrale coperta che funge anche da baricentro compositivo. Isolando il perimetro dello scavo e ricambiando quattro volte all’ora tutta l’aria degli ambienti per dare un ottimo comfort termo-igrometico agli utenti della scuola; infine, creando degli scorci visuali, anche vetrando su più lati le aule, per evitare l’effetto “chiusi dentro”, quindi eliminando i problemi collegati alla claustrofobia.

Dal punto di vista architettonico, cosa pensi dell’edilizia scolastica in Italia? Il Governo Renzi ha promesso molto a riguardo. Come si potrebbe intervenire?
Credo che mettere a posto le scuole, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche in termini di vivibilità e accoglienza, per indurci a comportamenti migliori, sia uno degli impegni più gravosi, per le amministrazioni pubbliche, assieme alla tutela del territorio. Ma per fare questo è necessario l’impegno congiunto delle migliori teste, perché il rischio è di pensare che con “una mano di bianco” si possa risolvere tutto, mentre è necessario ripensare anche tipologicamente la scuola del nuovo millennio.

Scuola Arendt - foto photo Alessandra Chemollo

Scuola Arendt – foto photo Alessandra Chemollo

Sempre a Bolzano avete da poco realizzato il nuovo termovalorizzatore che sostituisce quello già esistente, raddoppiandone la capacità di trattamento dei rifiuti. Qual è stato qui il vostro approccio a un tema così tecnologico?
Il nuovo impianto, come quello vecchio, è collocato all’ingresso sud della città e, per il fatto di diventare il biglietto da visita del nostro territorio, abbiamo cercato di immaginare un nuovo panorama artificiale capace di mettere l’accento sul valore e sulla qualità collinare delle pendici della conca bolzanina. Un edificio che richiama linee e colori delle montagne circostanti invece di mettere in evidenza la macchina e, quindi, la funzione contenuta al suo interno.

Zaira Magliozzi

http://www.cleaa.it/

 

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Zaira Magliozzi

Zaira Magliozzi

Architetto, architecture editor e critico. Dalla sua nascita, fino a Marzo 2015, è stata responsabile della sezione Architettura di Artribune. Managing editor del magazine di design e architettura Livingroome. Corrispondente italiana per la rivista europea di architettura A10. Dal 2006…

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