Performance alla Biennale dell’Immagine in Movimento di Ginevra: foto e video delle azioni di Isabel Lewis, Alexandra Bachzetsis, Andrew Hardwige, Mai-Thu Perret

Un salottino demodé: poltrone in pelle un po’ sdrucite, tappeti densi della patina della polvere, ficus e altre piante da appartamento che gettano ombre da giungla domestica in stile seventies; luci soffuse, sempre più basse, birrette d’ordinanza e tramezzini. È in un’atmosfera rassicurante, placida, casalinga che si impone con gentile ma irresistibile energia la presenza […]

Un salottino demodé: poltrone in pelle un po’ sdrucite, tappeti densi della patina della polvere, ficus e altre piante da appartamento che gettano ombre da giungla domestica in stile seventies; luci soffuse, sempre più basse, birrette d’ordinanza e tramezzini. È in un’atmosfera rassicurante, placida, casalinga che si impone con gentile ma irresistibile energia la presenza di Isabel Lewis: è l’artista di origini domenicane di stanza a Berlino a presentare il progetto più anticonvenzionale dei quattro che portano la performance alla Biennale dell’Immagine in Movimento di Ginevra. Quattro giorni di eventi straordinari in occasione dell’opening, quattro azioni live che accompagnano le ventidue opere commissionate dal CAC ad altrettanti giovani artisti, in mostra nelle sale del Centre diretto da Andrea Bellini fino al prossimo 23 novembre.
Viene dalla danza e lo dimostra, muovendo il corpo statuario in  provocanti balletti da salotto, ma il focus della ricerca attuale di Lewis è tutto giocato sulla relazione e l’interazione: eccola dunque magnifica anfitrione invitare il pubblico al relax, massaggiandone la mente con conversazioni che inducono a mettersi a nudo, sciogliere le riserve del pudore senza per questo scadere nei cliché dell’esibizionismo. L’opera è parola, la sua condivisione tra perfetti sconosciuti; l’opera è il distillato di corpi, umori, sensazioni olfattive condensato in forma di profumo e annusato in una forma di passaparola rituale: il docile e dolciastro aroma della festa, unione di sudore e fumo e odori assortiti, diventa feticcio di inattese complicità.

Più tradizionale l’azione di Mai-Thu Perret, un balletto sincopato che vede la danzatrice Anja Schmidt inscenare l’antica dicotomia tra persona e personaggio, tra l’Uomo e il suo doppio; così come la composta e millimetrica performance di gruppo orchestrata da Alexandra Bachzetsis, altra indagine sulle infinite potenzialità espressive del corpo.

Progetto ambizioso quello del giovane inglese Andrew Hardwidge, pupillo di Tino Sehgal – presenza costante, la sua, agli eventi che hanno aperto la Biennale – con la traduzione in salsa pop di schemi narrativi della danza del XVII secolo a costruire una dolente ed empatica tragedia sul tema del fallimento. Una prova che subisce forse un po’, nella sua fase iniziale, la difficoltà di prendere ritmo; ma che una volta decollata sa sciogliersi in una struggente e coinvolgente delicatezza.

– Francesco Sala

 

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Francesco Sala

Francesco Sala

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