Nuovi paesaggi urbani (X): città e schizofrenia tra Anni Sessanta e Settanta

Dagli oggetti culturali anglosassoni degli Anni Sessanta e Settanta emerge un grido: quello di una società frantumata e schizofrenica, che fatica a recuperare il proprio passato e la propria storia. Le utopie degli Anni Sessanta si sono infrante contro il freddo muro della crisi economica e dei drammatici fatti della guerra del Vietnam. La prosperità del dopoguerra è ormai un ricordo; è iniziata la lunga crisi energetica e finanziaria degli Anni Settanta…

Tra Anni Sessanta e Settanta, nel mondo anglosassone, la metropoli appare una distopia realizzata, emblema della più ampia crisi della società.
Complessi di edifici alienanti, residui della passata architettura razionalista, coabitano con centri urbani degradati e in preda a febbrili ristrutturazioni. Un’ampia periferia di sobborghi – quasi città fortificate all’interno della stessa metropoli – costeggia le più importanti città americane e britanniche. L’individuo si ritrova così naufrago in una foresta urbana che sembra evolvere e crescere a una velocità intollerabile per le sue capacità di adattamento. Una selva in cui, a ogni palazzo demolito o a ogni nuovo muro costruito, il soggetto rischia di perdere la propria identità e il proprio passato. Il disagio esistenziale, il conseguente utilizzo di droghe, così come la criminalità, crescono esponenzialmente a partire da questi anni. I prodotti artistici del periodo mettono così al centro l’individuo e il suo peregrinare. Spesso i protagonisti sono “giullari urbani” che utilizzano la violenza come mezzo per relazionarsi con la realtà, come Alex DeLarge in A Clockwork Orange (Stanley Kubrick 1971), oppure uomini attraversati da una devastante crisi identitaria come Travis Bickle in Taxi Driver (Martin Scorsese 1976).
I polizieschi degli Anni Sessanta e Settanta svelano, attraverso lunghi inseguimenti, le diverse e contradditorie realtà della città, mostrando metropoli in cui il confine tra buono (poliziotto) e il cattivo (criminale) diventa sempre più labile. Altri film invece mostrano una città dominata dal caos, in cui esistono quartieri che sembrano possedere leggi tutte proprie (o non averne affatto), in cui non è impensabile che un distretto di polizia venga preso d’assalto da una banda di malviventi, come in Assault on Precinct 13 (John Carpenter 1976).

J.G. Ballard, High-Rise (1975), copertina originale

J.G. Ballard, High-Rise (1975), copertina originale

Anche la fantascienza si dimostra sensibile al mutato clima di questi anni. A partire dalla metà degli Anni Sessanta nasce la New Wave: la science fiction cambia il proprio indirizzo e inizia a raccontare l’inner space, ponendo al centro della narrazione la società. Il futuro raccontato si fa meno distante e lo spazio della rappresentazione non è altro che la città contemporanea, solo un po’ trasfigurata. Philip K. Dick è maestro nel trasmettere il senso di miseria e di disperazione che caratterizza gran parte della popolazione americana in questi anni di crisi economica e sociale: esempio principe è il suo A Scanner Darkly (1977). Dick, partendo da una crisi personale segnata dal pesante uso di droghe, riesce a toccare i più importanti temi legati all’Io. La schizofrenia del protagonista del romanzo riflette infatti in scala ridotta la frantumazione identitaria dell’intera città-società. Particolarmente significativo è come i personaggi tossicodipendenti, in fin dei conti, risultino più “vivi” dei cosiddetti “perbene”, i cittadini benpensanti (straights nella versione originale).
Gli “straights”, infatti, sono incapaci di perdersi perché non hanno nulla da perdere. I tossici arrivano invece alla degradazione fisica e mentale perché cercano attraverso lo strumento-droga le risposte a quelle domande che i “perbene” non sembrano nemmeno porsi. Dick è solo una delle numerosissime voci della New Wave fantascientifica che in questi decenni cerca di portare attenzione al presente e al suo rapido mutare.

Robert De Niro in Taxi Driver (Martin Scorsese 1976)

Robert De Niro in Taxi Driver (Martin Scorsese 1976)

Lo scrittore Samuel R. Delany, ad esempio, mostra la complessità della sua contemporaneità attraverso il romanzo sperimentale Dhalgren (1975): un libro caotico e complesso, privo di una vera conclusione, un finale-non-finale che mostra una preoccupante realtà caratterizzata da individui che cercano se stessi senza mai trovarsi.
Dick e Delany, così come J. G. Ballard, John Brunner, Robert Silverberg e molti altri, ci svelano la grande potenzialità della science fiction: la possibilità di interpretare il presente come se fosse il passato di uno specifico futuro. La fantascienza, dunque, non solo come genere evasivo e pulp, ma come chiave di lettura della realtà, in grado di aprirci gli occhi sul presente e sul nostro stesso silenzioso mutare.

Maria Serena Spinelli

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