Anche la stampa estera contro Germano Celant: The Art Newspaper e Le Journal des Arts ironizzano sul maxi-compenso per Expo2015

“La stampa americana va alla ricerca dei fatti, non dei pettegolezzi”. Così Germano Celant rispondeva ad Artribune (qui potete sentirlo dalla sua viva voce: http://bit.ly/CelantExpo) in merito alla ridda di polemiche sorte attorno alla somma record che Expo gli ha concesso per occuparsi della curatela di Arts & Foods, il padiglione che in occasione dell’evento […]

“La stampa americana va alla ricerca dei fatti, non dei pettegolezzi”. Così Germano Celant rispondeva ad Artribune (qui potete sentirlo dalla sua viva voce: http://bit.ly/CelantExpo) in merito alla ridda di polemiche sorte attorno alla somma record che Expo gli ha concesso per occuparsi della curatela di Arts & Foods, il padiglione che in occasione dell’evento milanese racconterà alla Triennale un secolo e mezzo di intensi rapporti tra cibo e creatività.
Una sentenza lapidaria, altezzosa, a gettare la croce addosso all’atavica faciloneria italiana, ai mestieranti della penna che foraggiano la macchina del fango per un pugno di copie vendute in più: senza approfondire, senza verificare, seguendo la banderuola dello scoop facile, della dichiarazione shock, del sensazionalismo a tutti i costi. La stampa italiana non conosce la differenza tra fee e budget secondo Germano Celant; la stampa italiana non comprende come i 750mila versati da Expo al critico non finiscano tutti nelle sue tasche, ma servano a coprire una serie di costi “di segreteria” (così sono stati definiti) non compresi nei rimanenti circa cinque milioni messi a bilancio per la mostra.
La stampa nostrana, cattiva e in malafede, scrive insomma con il paraocchi: mica come quella anglosassone, libera e rigorosa. Ora: la sua redazione è di stanza a Londra, non a New York; e il suo editore – che l’ha fondato nel 1983 – è l’italianissimo Allemandi: ma il credito che The Art Newspaper gode a livello internazionale è senza macchia, la sua autorevolezza riconosciuta su scala globale. Suona allora come una rivincita il report finito in prima pagina sul numero di luglio-agosto della rivista, con l’impietoso confronto tra quanto costa Celant ad Expo e quanto incassano i curatori e direttori delle principali biennali del mondo, da Venezia a Gwangju: parliamo di cifre pari a circa un sesto di quanto messo a disposizione al critico di Arts & Foods. Un’inchiesta asciutta, pulita, che si attiene ai fatti e non li commenta: very british style. Ma puramente inglese è anche lo humour della vignetta che Pablo Helguera firma a pagina 4. Due burocrati scartabellano documenti seduti a un tavolo del MiBACT, con uno ad esclamare: “allo stato attuale il nostro budget per la cultura ci permette di costruire un complesso museale, di mettere insieme una collezione di opere di livello mondiale, o di assumere Germano Celant perché curi una mostra!”. Una freddura che riassume la posizione della testata, non troppo distante da quella del suo fratello francese: anche Le Journal des Arts tratta l’argomento, certo con piglio meno aggressivo di quello del nostro Il Giornale (che titola “Celant coperto d’oro diventa la barzelletta dell’arte) ma decisamente non assolutorio. Trasformando un caso ad oggi percepito come locale in internazionale.
E questo è un fatto. Non un pettegolezzo.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

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