Ikon Gallery. Cinquant’anni da icona

L’ottocentesco palazzo di Brindleyplace a Birmingham festeggia cinquant’anni, come spazio-icona per l’arte contemporanea in UK. Tra il 2014 e il 2015 le celebrazioni dell’anniversario prevedono una programmazione intensa. Ce ne parla il direttore Jonathan Watkins.

La Ikon di Birmingham celebra, tra il 2014 e il 2015, il suo 50esimo anniversario. Una serie di appuntamenti, eventi e mostre speciali, riuniti sotto il titolo di Ikon 50, sono stati pianificati per celebrare e lasciare il segno nell’anno del suo mezzo secolo di attività. Sull’onda di una sorta di reminiscenza, Ikon prevede il ritorno espositivo di alcuni artisti-chiave dell’arte contemporanea inglese, autori che si sono avvicendati nei diversi spazi occupati durante le cinque decadi di vita dell’Istituzione. Per la celebrazione dell’anniversario, ognuno degli artisti è stato chiamato a creare corrispondenze con le loro prime mostre, rievocate all’interno della Tower Room. I prescelti sono, tra gli altri: John Salt, in assoluto il primo artista a esporre alla Ikon nel 1965; Cornelia Parker, che espose nel 1988 il suo primo Thirty Pieces of Silver; Yinka Shonibare, che nel 1998 espose una combinazione di tessuti africani e object trouvé; mentre per quanto riguarda l’artista del nuovo millennio, la Ikon ospiterà una mostra di soli nuovi lavori di Julian Opie.
La Ikon Gallery è stata fondata nel 1964 da un gruppo di artisti alla ricerca di uno spazio accessibile, per poter condividere e trasmettere le loro idee sull’arte. La prima sede è stata stabilita in un chiosco vetrato di uno shopping centre (il Bullring), diventando una galleria, come da progetto, senza muri. Da quel momento la Ikon ha esplorato e abitato diversi luoghi del centro cittadino, includendo anche un altro shopping centre, il Pallasades, all’interno del quale, nel 1974, esplose una bomba dell’Ira, mancando il vero obiettivo: l’ufficio di reclutamento dell’esercito, al numero civico accanto. Dal 1998, infine, la Ikon Gallery ha sede in un’antica scuola vittoriana riconvertita, uno spazio che mediamente ospita 130.000 visitatori l’anno. Abbiamo approfondito, con il suo direttore Jonathan Watkins, passato, presente e futuro dello spazio, situato nella verde contea delle West Midland nell’Inghilterra centrale.

Ikon Gallery, John Bright Street, 1978-1998, courtesy Ikon

Ikon Gallery, John Bright Street, 1978-1998, courtesy Ikon

Potrebbe brevemente rievocare i principi e le idee originarie che hanno portato alla fondazione della Ikon Gallery?
Le fondamenta di Ikon sono state gettate da un gruppo di artisti indipendenti di Birmingham, nei primi Anni Sessanta. Il loro obiettivo era trovare un luogo che permettesse di mostrare, senza veli, le loro ricerche sperimentali. Allo stesso tempo, essendo politicamente simpatizzanti per il partito democratico, erano molto interessati a catalizzare e a dialogare con pubblici di non addetti ai lavori. Per estensione di questo concetto, non fu un caso che la prima definizione di Ikon fosse quella di gallery without walls. Implicando, di conseguenza, il fatto che la nostra prima sede fosse all’interno di un chiosco completamente trasparente, senza esterno né interno, al centro di uno shopping centre.

In che modo la Ikon Gallery ha interagito con il proprio paesaggio culturale locale e quanto questa interazione è ancora attiva/attuale? È cambiata nel tempo e, se sì, come?
Fin dall’inizio, la Ikon ha sempre impegnato le proprie risorse e le proprie energie nel supportare la comunità artistica locale. Questo intento prosegue tuttora, nonostante si debba constatare che il nostro programma, con il passare degli anni, sia diventato, man mano, sempre più internazionale. Molto spesso, durante gli Anni Sessanta e Settanta, gli artisti esposti risiedevano a Birmingham e nelle Midland. Attualmente riattivare una connessione geografica così diretta risulta meno frequente e praticabile, ma comunque sia rimane consistente. Durante quest’ultimo anno, però, abbiamo lavorato con John Salt, Hurvin Anderson, Ian Emes, Gillian Wearing e Juneau Projects, tutti artisti che provengono da questa regione. Inoltre stiamo cercando di commissionare un nuovo importante lavoro di Roger Hiorns, secondo dettagli che a breve riveleremo. Il paesaggio culturale di Ikon è anche popolato da alcuni musicisti, danzatori, registi e scrittori di talento, con i quali amiamo molto lavorare, raggiungendo nuove armonie e sinergie fra generi e discipline.

Durante questi anni, quanti artisti di rilievo del panorama contemporaneo internazionale sono stati ospitati dalla Ikon? Potrebbe raccontarci alcuni esempi, oppure alcuni aneddoti che sono entrati a far parte della vostra storia?
La lista di acclamati artisti internazionali che hanno esposto nei nostri spazi è davvero molto lunga e include, fra gli altri, anche Giovanni Anselmo, Frederic Bruly Bouabre, Chris Burden, Richard Hamilton, On Kawara, Francois Morellet, Julian Opie, Dennis Oppenheim, Cornelia Parker, Giuseppe Penone e Yinka Shonabare. Uno dei miei più forti e fondati ricordi è inevitabilmente legato a On Kawara, quando mi disse che avrebbe voluto promuovere la sua mostra attraverso un exhibiting tour mondiale, orientato in senso orario. E così abbiamo fatto. Partendo nel 2002 abbiamo seguito un itinerario che comprendesse dapprima l’Europa, poi il Sudest asiatico, poi il Giappone, la Nuova Zelanda, il Canada e l’America Latina; terminando, infine, nuovamente alla Ikon nel 2005. In altre parole abbiamo mostrato doppiamente la stessa mostra che, nonostante il tour, pareva aver cambiato, chissà come, apparenza.

David Tremlett with assistants, Obidon, Portugal, 1993, courtesy the artist and Ikon

David Tremlett with assistants, Obidon, Portugal, 1993, courtesy the artist and Ikon

Secondo lei, durante gli allestimenti come hanno lavorato gli artisti, aderendo e alterando gli spazi fisici della Ikon? Potrebbe fare alcuni esempi al riguardo? L’architettura di ogni sede appartenuta alla Ikon – cinque spazi, a partire dal 1965 – è sempre stata essenzialmente conformata, adattata al nostro programma artistico. Il contesto è  vitale, non lo è solamente il significato dell’opera d’arte in sé. Il contesto determina l’identità dell’arte, a priori, e noi curatori dovremmo conoscere molto bene questo concetto quando decidiamo dove installare un ambiente per i visitatori, affinché venga prodotta un’esperienza artistica. La nostra sede attuale si trova in un ex-edificio di un’antica scuola vittoriana con numerose stanze, restaurate e riconvertite, né troppo grandi né troppo piccole, perfette per una narrazione curatoriale. Le une accanto alle altre si avvicendano come tanti paragrafi, all’interno dello stesso racconto. L’utilizzo dello spazio del primo piano, nel 2005, da parte di A. A. Bronson, forse si è rivelato essere il progetto più radicale, potente. Qui ha mostrato un foto ritratto in formato poster di Felix, un suo amico e un artista emergente, che era appena morto di una malattia correlata all’Aids; mostrando un desolato corpo senza vita, con gli occhi spalancati e assenti, sostenuto da uno sgargiante e iperdecorato copriletto. È stata una delle immagini più potenti che io abbia mai visto. Così abbiamo deciso di esporla da sola, dominando la seconda stanza così tanto da dover lasciare vuote le altre. E in quel momento la mancanza è diventato un volume in sé. Nel 2003, inoltre, il musicista David Cunningham ha sfruttato gli spazi del secondo piano per la loro grande acustica riflessiva, realizzando il suo Listening Room Project, un ambiente sonoro in loop che irrompeva in tempo reale come un’onda che si muoveva sulla eco diversa prodotta da chiunque entrasse nella stanza.

Dopo cinquant’anni di storia, come si è evoluta la Ikon e come è cambiata dal proprio inizio?
Ikon, ad oggi, è diventata molto più internazionale di sempre. Questa è la sola grande differenza. Noi abbiamo iniziato i nostri primi cinquant’anni esponendo un artista proveniente dall’Iraq e li stiamo celebrando con un altro proveniente dall’Angola.

Quali sono i punti salienti del programma previsto da Ikon 50?
Ogni progetto, nel nostro Cinquantesimo è stato progettato per essere meraviglioso! Premesso ciò, alcuni eventi riceveranno più attenzione di altri. In cima a questa lista c’è sicuramente la Real Birmingham Family di Gillian Wearing. Si tratta di una scultura in scala 1:1 di una famiglia locale, selezionata fra le 350 che sono state vagliate in città, gruppo scultoreo in bronzo che sarà rivelato e inaugurato nel centro cittadino, dopo l’estate. La famiglia comprende due ragazze-madri, sorelle, di origini indiane, con i due loro piccoli bambini. Una delle due madri è incinta e così sarà ritratta. Questo lavoro rappresenterà una meravigliosa aggiunta all’interno del parterre di sculture che attualmente popolano Birmingham. Inoltre, attorno a questa scultura sta già montando un discreto dibattito sulla natura dell’arte e su cosa significhi la famiglia oggi.

Michel François, Autoportrait contre nature (Self-Portrait Against Nature), 2002, video, courtesy carlier  gebauer, Berlino

Michel François, Autoportrait contre nature (Self-Portrait Against Nature), 2002, video, courtesy carlier gebauer, Berlino

Il 30 aprile, invece, Ikon ospita una personale di Michel François: potrebbe brevemente descriverla?
Si tratta della prima personale di ricognizione di Michel François nel Regno Unito ed è un privilegio per noi presentarlo qui alla sua nuova odience. Il suo lavoro mi attrae e mi incuriosisce davvero molto per la sua modalità compositiva sofisticata e continentale; per il suo approccio installativo essenziale, per i suoi gesti scultorei e per le sue pellicole centrate sul tema del tessuto urbano degli edifici, allo stesso tempo eleganti, divertenti ed esistenzialmente tristi. Noi proietteremo Arpenteuse, uno dei miei pezzi preferiti, incentrato su una sorta di piccolo bruco – una creatura dall’apparenza così assurda- che attraversa, strisciando, su una mappa del mondo, dimentico di confini, di nazioni e delle vastità degli oceani blu. Un qualcosa di così apparentemente libero e pieno di intenti….

Potrebbe raccontarci come si caratterizzerà il vostro programma del 2015?
Abbiamo una barca! Una lunga, stretta barca che naviga la rete di canali che si irraggiano in tutte le direzioni, arrivando ben oltre la periferia di Birmingham, raggiungendo Londra, Manchester, Stratford e così via. Armata e pilotata da un gruppo di ragazzi giovani, questo spazio galleggiante diventerà allo stesso tempo un piano espositivo e una solta di palco mobile, flottante, per ospitare performance, videorassegne e via discorrendo. Il design dell’imbarcazione sarà modificato di volta in volta a seconda delle esigenze dell’artista in residenza che la occuperà. Nel 2011 l’artista ospite è stata Marjolijn Dijkman, a seguire Sarah Browne, poi Navin Rawanchaikul, mentre alla fine di quest’anno arriverà il collettivo Juneau Projects. Loro forzeranno i confini della Black Country, spingendosi a ovest di Birmingham e non c’è dubbio che nei loro viaggi cercheranno ispirazione nelle sottoculture che fioriscono in quell’area.

C’è un pensiero, un augurio d’accompagnamento che vorrebbe formulare nel 50esimo della Ikon Gallery?
Sogno che Ikon possa evolvere in spazi museali dedicati all’arte contemporanea sempre maggiori e che questo possa accadere entro i suoi prossimi cinquant’anni. Che Ikon renda Birmingham una destinazione, una meta culturale ancora più irresistibile!

Ginevra Bria

www.ikon-gallery.org

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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