Forma fredda, contenuto caldo. Zohar Fraiman

Nuova puntata per l’Opera Sexy curata da Ferruccio Giromini. Sotto la sua lente finisce stavolta l’israeliano Zohar Fraiman, che in punta di pennello dipinge scene di stupri e violenza psicofisica.

Certo, l’erotismo è vissuto da ciascuno in maniera diversa; e non sempre gioiosamente, come potrebbe e dovrebbe essere. La pulsione sessuale induce a volte, e neppure tanto di rado, a prevaricare sulla personalità del partner, fino a sfociare in episodi di violenza. E chi resta vittima di sopruso sessuale difficilmente potrà riaccostarsi ad affrontare situazioni erotiche con animo disteso e propenso a un raggiante godimento. Tale è per molte persone la dura e incoercibile realtà, già difficile da affrontare e poi difficile da smaltire e dimenticare. Addirittura in molti casi, come insegna la statistica, il dolore originario resta indissolubilmente intrecciato al piacere che si proverà in seguito, dando origine a miscugli agroamari di sensazioni comunque potenti.
Anche la giovane artista israeliana Zohar Fraiman (Gerusalemme, 1987) custodisce nel proprio passato qualcosa di oscuro con cui sta facendo i conti. L’idea dell’amore fisico le crea evidentemente qualche problema. Di fatto, i soggetti figurativi principali dei suoi dipinti, tradizionalissimi oli su tela anche di dimensioni rilevanti, sono giovani donne in condizioni di sofferenza psicofisica. Situazioni più frequenti: in un interno spoglio, una ragazza, vestita o no, siede evidenziando un sentimento di solitudine e disagio psicologico del tutto percepibile a livello posturale, come se si vergognasse del proprio corpo; quando la giovane non è sola con le proprie angosce, altre donne la osservano, considerandola con ogni evidenza non positivamente; e anzi, molto spesso alle sue spalle sta un’altra figura femminile, più adulta, dall’incongrua apparenza materna, che le stringe le mani intorno al collo come per strozzarla.

Zohar Fraiman, Rape, 2011

Zohar Fraiman, Rape, 2011

Il fantasma ingombrante della mamma yiddish, evidentemente, non infesta solo l’inconscio ebraico maschile. Motivi religiosi, familiari, sociali accatastano i loro pesi sulla psiche anche femminile. Per quanto domestici e confidenziali possano essere tali rapporti, non di meno restano brutali. E non tanto tra uomo e donna, da maschio a femmina, come si può immaginare banalmente; ma come accade in Rape (2011) e in dipinti similari – dove gli stupratori della donna, maschi e femmine alleati, nella frenesia costruiscono tuttavia eleganti composizioni coreografiche asimmetricamente stellari – appunto pure direttamente tra donna e donna, tra femmina forte e femmina debole, tra dominatrice e dominata, le quali così interpretano il valore dell’amore (materno/filiale) in modi perlomeno problematici.
L’estetica di quest’arte metaforica è tiepida: calda per i contenuti, fredda per le forme. I volti si chiudono in se stessi, i colori sfumano e si abbassano nelle ombre, i gesti si rapprendono quasi in disperante pudicizia. La pittura della giovane Fraiman – la quale, oltre che in Israele, si è formata a Boston e in Umbria – rivela una cultura cosmopolita che le permette di citare Giotto e Balthus come almeno due generazioni di Wyeth con una certa contorta disinvoltura. La contraddizione in termini (il nome Zohar in ebraico significa ‘splendore’), sì, fa al caso suo.

Ferruccio Giromini

www.zoharfraiman.com

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17

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Ferruccio Giromini

Ferruccio Giromini

Ferruccio Giromini (Genova 1954) è giornalista dal 1978. Critico e storico dell'immagine, ha esercitato attività di fotografo, illustratore, sceneggiatore, regista televisivo. Ha esposto sue opere in varie mostre e nel 1980 per la Biennale di Venezia. Consulente editoriale, ha diretto…

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