Archeologie sentimentali: a Bari si raccolgono oggetti feticcio di storie d’amore, da esporre in galleria per la nuova mostra di Francesca Romana Pinzari e Alessandra Baldoni. Un progetto tra arte e indagine sociologica

L’effetto macabro stile bottega degli orrori, con tranci di cadavere in formalina, svapora nella tranquillizzante stampa a rilievo che accompagna i leggendari barattoli Bormioli. Gioioso rimando a conserve e giardiniere, marmellate fatte in casa da generazioni e generazioni di donne generose. Un involontario richiamo alla sfera intima e famigliare, etichetta che inquadra con inconsapevole efficacia […]

L’effetto macabro stile bottega degli orrori, con tranci di cadavere in formalina, svapora nella tranquillizzante stampa a rilievo che accompagna i leggendari barattoli Bormioli. Gioioso rimando a conserve e giardiniere, marmellate fatte in casa da generazioni e generazioni di donne generose. Un involontario richiamo alla sfera intima e famigliare, etichetta che inquadra con inconsapevole efficacia un progetto che sull’intimo e sul famigliare basa tutto il suo messaggio: sotto vetro finisce il ricordo, incapsulato ed esposto in una tenera e tenace wunderkammer. Si chiama Ti offro ciò che di me non dura il progetto che accompagna l’imminente personale di Alessandra Baldoni e Francesca Romana Pinzari, entrambe accomunate da un percorso che indugia da tempo sul tema della memoria privata, della sedimentazione del sentimento, della nostalgia assunta a spazio privilegiato per l’affermazione dell’identità. L’invito, sparso via web, chiede di recapitare nella sede della Galleria BLUorG di Bari un semplice oggetto, feticcio che incarni in plastica o peluche amori passati e presenti: da esternare ed eternare, senza inibizioni frutto della retorica o del senso del kitsch; da esporre senza pudori, in una musealizzazione che sembra dettata dalla penna di Orhan Pamuk. C’è tempo fino al 6 marzo per spedire o portare il proprio pezzo (doverosamente restituito a fine mostra), partecipando ad un’operazione che trascende dal discorso puramente artistico e si rivela piccola informale indagine sociologica. In grado di rinnovare in chiave 2.0 il rapporto che lega la nostra cultura all’idea di oggetto feticcio, ancestrale rimando di natura apotropaica e propiziatoria. Non mancano dunque, nel catalogo di materiali consegnati ad oggi, i telefoni cellulari. Mescolati a bambole e pupazzi di varia foggia e colore; sex-toys (alla faccia dell’amore platonico!); lettere su carta e piccoli “pizzini d’amore”, più o meno decifrabili, persino un abito da sposa. E poi residui minimi, che spaziano da enigmatici cocci di ceramica ad una buccia d’arancia, strappata in modo così simile a un cuore…

– Francesco Sala

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